Giuni Russo cantava Un’Estate al Mare, ma c’è chi invece deve buttare il sangue a lavorare nonostante il troppo caldo e questi mesi estivi del 2025 a quante pare rischiano di essere proprio da record. Temperature roventi e allerta bollino rosso in diverse città italiane. Il Ministero della Salute ha segnalato 11 capoluoghi al massimo livello di rischio, con punte drammatiche che toccano i 42 gradi in Sardegna, 38 a Firenze e Bologna, e 37 a Roma. Una situazione che mette a dura prova soprattutto chi lavora all’esterno, senza protezione né refrigerio, esposto al sole nelle ore centrali della giornata.
A fronte di queste condizioni estreme, alcune Regioni italiane stanno intervenendo con provvedimenti mirati: ordinanze che vietano il lavoro all’aperto in specifiche fasce orarie, per tutelare la salute dei lavoratori e prevenire colpi di calore, disidratazione e altri gravi rischi.
Divieto di lavoro all’aperto per il troppo caldo
A guidare questa strategia di prevenzione sono state Lazio e Calabria, che già nei primi giorni di giugno hanno firmato nuove ordinanze anti-caldo. Seguendo un modello già sperimentato nel 2024, questi atti amministrativi vietano lo svolgimento di attività all’esterno tra le 12:30 e le 16:00, ma solo nei giorni in cui viene registrato un rischio “Alto” di stress termico secondo i dati della piattaforma Worklimate.
Nel Lazio, l’ordinanza firmata dal presidente di Regione è valida fino al 31 agosto 2025 ed è applicabile su tutto il territorio regionale. La Calabria ha seguito lo stesso schema: il 10 giugno è entrata in vigore una disposizione che estende il divieto a tutta la regione. Anche l’Umbria, per la prima volta, ha adottato una misura simile già a metà giugno, anticipando i tempi rispetto allo scorso anno.
A chi si applica lo stop e quando entra in vigore
Le ordinanze si applicano principalmente ai settori più esposti, come agricoltura, edilizia (inclusi cantieri e cave) e florovivaismo. Il divieto non ha validità fissa giornaliera, ma si attiva solo nei giorni in cui le previsioni di Worklimate 2.0 individuano un rischio termico elevato. In questi casi, le attività sotto il sole vengono sospese nelle ore più calde, tra le 12:30 e le 16:00, con l’obiettivo di ridurre l’esposizione ai raggi solari diretti e alle alte temperature.
Sono previste eccezioni soltanto per i lavori di emergenza legati alla pubblica utilità. In questi casi, però, le amministrazioni devono garantire misure di sicurezza adeguate per i lavoratori coinvolti. Al di fuori di tali situazioni straordinarie, il rispetto delle ordinanze è obbligatorio. Il mancato rispetto del divieto può comportare sanzioni ai sensi dell’articolo 650 del Codice Penale: fino a tre mesi di arresto o una multa che può arrivare a 206 euro per i datori di lavoro inadempienti.
Fa troppo caldo, intervengono le Regioni
Le disposizioni regionali colmano una lacuna evidente nella normativa nazionale. La legge italiana sulla sicurezza nei luoghi di lavoro – in particolare l’art. 2087 del Codice Civile e il D.Lgs. 81/2008 – prevede infatti l’obbligo per i datori di lavoro di proteggere il personale da microclimi sfavorevoli.
Tuttavia, finora mancava un’indicazione chiara sui limiti di temperatura oltre i quali è obbligatorio fermare i lavori all’aperto.
In passato si era parlato di 35°C come soglia di riferimento, ma non si era mai arrivati a fissare un parametro univoco e vincolante. I sindacati confederali avevano più volte sollecitato misure in tal senso, chiedendo regole chiare e valide su tutto il territorio nazionale per garantire la salute dei lavoratori durante le ondate di calore.
Con l’aumento delle temperature e l’intensificarsi dei fenomeni estremi, ci si aspetta che altre Regioni decidano di seguire l’esempio già tracciato da Lazio, Calabria e Umbria. La stagione è appena iniziata, e il caldo record potrebbe rendere indispensabile un coordinamento su scala nazionale.
In sintesi.
- Alcune Regioni vietano il lavoro all’aperto nelle ore più calde, in caso di allerta caldo.
- Il divieto si applica a settori come edilizia, agricoltura e florovivaismo.
- Le ordinanze regionali colmano un vuoto normativo nella tutela dei lavoratori.