Il mercato a reddito fisso è sempre allettante per i risparmiatori italiani, alla ricerca quasi sempre di un rendimento magari più allettante di quello quasi azzerato offerto in questo periodo dalle banche, ma che non comporti eccessivi rischi. Le obbligazioni possono essere la soluzione ideale, purché la scelta avvenga opinatamente. Si tratta di titoli di credito, emessi o da enti pubblici (stato, enti sovranazionali, regioni, agenzie governative, etc.) e nel quale caso si definiscono più spesso “titoli di stato”, oppure da società e banche private.

Tralasciamo in questo articolo il caso peculiare dei bond bancari, per i quali rimandiamo a un prossimo pezzo, mentre ci concentriamo essenzialmente sulle obbligazioni private.

Rating bond

La prima cosa da guardare con attenzione è il rating della società emittente, che ne segnala il grado di affidabilità e la solidità del debito emesso. Le agenzie di rating più importanti al mondo sono S&P, Moody’s e Fitch e i loro giudizi sono espressi in lettere, partendo dal migliore “AAA” al peggiore “D” o “C”, a seconda dei casi. Se si vogliono minimizzare i rischi, bisogna optare per obbligazioni del tipo “investment grade”, ovvero con un rating almeno pari a “BBB-” (o “Baa3” per Moody’s), mentre per giudizi più bassi si rientra nella categoria dei bond speculativi, ovvero ad alto rischio, anche se a rendimento generalmente più appetibile di quelli più sicuri. Le obbligazioni sono emesse generalmente a cedola fissa o a cedola variabile, laddove nel secondo caso, l’aggancio è spessissimo all’inflazione del periodo, anche se potrebbe essere un indicatore diverso, magari di tipo finanziario. Limitiamoci per il momento alla scelta tra obbligazioni a cedola fissa e obbligazioni a cedola variabile, agganciata all’inflazione.      

Cedola fissa o cedola variabile

Il primo tipo è preferibile per i casi di inflazione tendenzialmente calante. Infatti, poiché la cedola è fissa, il tasso offerto tende ad aumentare in termini reali, man mano che si abbassa la crescita dei prezzi.

Ciò fa crescere il prezzo del titolo sul mercato secondario, dove avviene la quotazione, in quanto esso diventa più appetibile per il mercato. Viceversa, quando l’inflazione tende a crescere, è preferibile optare per un’obbligazione con cedola variabile, perché essa offre un rendimento minimo garantito, al di sotto del quale generalmente non si scende nemmeno per i casi (attuali) di deflazione, salvaguardando così il potere di acquisto dell’investitore. Proprio la differenza di rendimento tra obbligazioni a cedola fissa e obbligazioni a cedola variabile sulla medesima scadenza ci consente di verificare quali siano le aspettative d’inflazione del mercato nel periodo di riferimento, aiutandoci a orientarci nella giungla delle opportunità di investimento.

Break-even rendimenti, cos’è

Facciamo un esempio: un bond a cedola fissa con scadenza 30 luglio 2021 rende oggi il 2%, mentre un bond a cedola variabile dello stesso emittente (quindi, stesso rating), emesso per la medesima scadenza, ma con cedola legata all’inflazione, rende l’1,2%. Ciò significa che il mercato si attende da qui al 2021, ovvero nei prossimi 5 anni, che l’inflazione media annua sia dello 0,8%. Infatti, sommata questa percentuale all’1,2% offerto dal secondo bond, si ha il 2%, ovvero il rendimento offerto dal bond con cedola fissa. La distanza tra i rendimenti dei bond con cedola fissa e quelli offerti dai bond con cedola variabile è detta anche “break-even” e gli investitori la monitorano con estrema attenzione.