E meno male che ci dovrebbe pensare il mercato a decidere le sorti del risiko bancario italiano in corso da parecchi mesi a questa parte. Un groviglio di operazioni a cascata, che stanno avendo finora quale unico effetto pratico di generare gran confusione sotto il sole. Ma ora che il gioco inizia a farsi duro, i duri iniziano a giocare. A modo loro. Cioè con le carte bollate. L’attenzione si sposta dalle vicende prettamente finanziarie ai tribunali. E’ di ieri la notizia che il Tar del Lazio ha respinto la richiesta avanzata da Banco BPM di sospendere l’Offerta Pubblica di Scambio (OPS) di Unicredit nei confronti del suo capitale.
Risiko bancario, scontro totale
Piazza Meda si era opposta alla sospensione per un mese dell’OPS concessa dalla CONSOB su richiesta della stessa Unicredit. Il tempo per far valutare al CEO, Andrea Orcel, possibili margini di trattativa con il governo sul “golden power“. L’istituto oggetto di scalata ritiene che non vi siano i presupposti per beneficiare di tale sospensione, essendo chiaro sin dall’inizio dell’operazione che il governo possa opporsi tramite i poteri inerenti a un “asset strategico nazionale” come il risparmio.
Querela di Mediobanca
E nelle ultime ore altre due vicende scuotono il risiko bancario. Entrambe sempre in tribunale. Mediobanca ha presentato querela per diffamazione per alcuni articoli di giornali, che nelle settimane scorse riportavano la notizia di un presunto ostruzionismo dell’istituto ai danni dei soci Delfin e Francesco Gaetano Caltagirone nell’intraprendere operazioni di mercato. Piazzetta Cuccia sostiene di avere subito un danno alla propria reputazione a seguito di tali insinuazioni.
Veleni su privatizzazione di MPS
Per concludere ci sarebbe un esposto di Unicredit sulla privatizzazione di Monte Paschi nel novembre scorso. Usiamo il condizionale non per l’esposto in sé – che è certo – bensì per l’assenza di certezze su chi ne sia l’autore. Piazza Gae Aulenti ha negato che sia opera propria. Fatto sta che sotto le lenti dei giudici è finita la vendita di un terzo pacchetto di azioni MPS per il 15% del capitale. L’operazione avvenne tramite “accelerated book building”, una pratica che consiste nell’offrire una fetta importante di capitale fuori mercato e a un gruppo ristretto di investitori senza obblighi di pubblicità.
Il mandato fu affidato dal Tesoro a Banca Akros, controllata da Banco BPM. Per l’occasione entrarono nel capitale di MPS proprio Banco BPM e la sua controllata Anima, nonché Delfin e Caltagirone. L’ipotesi di reato è i suddetti abbiano concordato i loro acquisti, avendo tutti offerto la stessa cifra (a premio del 5%) nell’arco di appena 9 minuti. La vera domanda è: quale interesse avrebbe Orcel a denunciare un gruppo di investitori, se non per vendicarsi del “golden power” da un lato e della reazione rabbiosa di Banco BPM dall’altro? Se così fosse, l’interlocuzione con il governo si concluderebbe qui. E’ evidente che non puoi immaginare di portare in tribunale il Tesoro e al contempo trattare per ammorbidire alcune delle condizioni fissate nel decreto di aprile.
Ridefinizione del potere finanziario
Perché tanti veleni? Il risiko bancario di cui discutiamo da mesi può esitare la ridefinizione della mappa del potere finanziario (e non solo) in Italia. Ci sono diverse chiavi di lettura in questa intricatissima vicenda. C’è chi vede queste operazioni come il tentativo dell’establishment romano di mettere sotto quello milanese. E c’è chi nota che, se l’affaire MPS-Mediobanca andasse in porto, il centro-destra espugnerebbe la sinistra dal salotto buono della finanza e finalmente sarebbe rappresentato in quell’ambiente.
Delfin sotto pressione
Tutto questo alla vigilia dell’assemblea dei soci di Mediobanca di giorno 16, chiamata ad esprimersi sull’OPS lanciata sul 100% del capitale di Banca Generali. L’operazione esiterebbe l’uscita da Generali, dove attualmente l’istituto detiene il 13,10%. Dunque, MPS si ritroverebbe priva della sua ambita preda. Da Parigi arriva altro veleno. Ci sarebbero pressioni su Francesco Milleri, a capo di Delfin e amministratore delegato di EssilorLuxottica, affinché chiarisca la sua posizione sul risiko bancario italiano. Al manager italiano sarebbe stato fatto presente che la sua carica non sia sostenibile in presenza di indagini sul suo conto. Un modo per porlo dinnanzi alla scelta tra la carriera e il sostegno a Caltagirone nella sua battaglia per la conquista di Mediobanca-Generali.
A chi giova questo clima? Non è un mistero che i francesi vogliano mettere le mani sul risparmio italiano. Il CEO della compagnia di Trieste, Philippe Donnet, guarda caso francese, sottoscrisse a gennaio un accordo per la nascita di una joint venture con Natixis per la gestione congiunta di 1.900 miliardi di euro. Di questi, 650 miliardi arriverebbero dall’Italia. Operazione che vede contrario il governo Meloni, il quale teme che i risparmi vadano a finanziare investimenti all’estero. E anche Caltagirone, che insieme a Delfin è azionista di Generali, si oppone.
Risiko bancario appassionante, ma chi riguarda?
Non esistono buoni o cattivi. C’è una guerra in corso per il predominio sul mercato del credito tricolore. Ed esiste il forte dubbio che l’interesse dell’economia reale non sia neanche preso in considerazione. Banche grandi che vogliono mangiarsi banche più piccole nel nome delle economie di scala e dell’efficienza gestionale per abbattere i costi.
Tutto giusto e meritevole. Domanda: cosa ci guadagna il sistema Italia? Ci saranno per caso più prestiti per le piccole e medie imprese desiderose di investire? I risparmiatori godranno di un’offerta di servizi migliori? La sensazione è che questo risiko bancario riguardi le alte sfere del potere finanziario e abbia molto poco a che vedere con l’interesse del Bel Paese a dotarsi di un sistema bancario-assicurativo all’avanguardia e attento alle esigenze dei territori.