E’ passato un mese dalla travolgente vittoria elettorale di Javier Milei per il rinnovo del Congresso. Il suo partito La Libertà Avanza è risultato nettamente primo con oltre il 40% dei consensi e ha battuto ogni pronostico. La reazione sui mercati è stata di estremo giubilo. L’indice Merval alla Borsa di Buenos Aires è salito da allora di oltre il 44% fino a segnare nuovi massimi storici. E le stesse obbligazioni sovrane in euro e dollari si sono apprezzate: +27% a 71 centesimi per la scadenza in euro del 2038 (ISIN: XS2177365017) e +30% a 71 centesimi anche per la scadenza in dollari del 2046 (ISIN: US040114HW38). Ora, però, gli investitori hanno una richiesta pressante per l’Argentina: sostegno alle riserve valutarie della banca centrale e l’allentamento dei controlli sul cambio.
Riserve nette in Argentina ancora negative
Mentre le banche americane preparano prestiti per 4-5 miliardi di dollari (dai 20 miliardi immaginati dall’amministrazione Trump prima delle elezioni), al fine di consentire a Buenos Aires di ripagare una scadenza a gennaio, Milei per il momento ha risposto picche. La posizione del governo l’ha spiegata benissimo il ministro delle Finanze, Luis Caputo, in una battuta: “non puoi pensare di indebolire il peso di continuo se hai all’opposizione un partito comunista”. Tradotto: la svalutazione del cambio avrebbe effetti sociali indesiderati, che rischiano di alimentare il malcontento a favore della sinistra peronista.

Per quanto il ragionamento appaia fondato sul piano politico, l’Argentina ha un problema di riserve insufficienti. Queste sono salite solo in apparenza negli ultimi mesi a quasi 33 miliardi di dollari. Ma bisogna sottrarre i 14 miliardi sborsati dal Fondo Monetario Internazionale in aprile, senza i quali il dato scenderebbe sotto i livelli ereditati da Milei all’inizio della sua presidenza nel dicembre 2023.
Al netto dei debiti e degli swap, risultano negative per 12,4 miliardi. L’FMI sperava in un dato di 9 miliardi superiore per la fine di quest’anno.

Economia argentina meno competitiva
Il cambio per l’Argentina è forte. Al mercato nero si è rafforzato del 9% nell’ultimo mese, attestandosi a 1.425 pesos contro 1 dollaro dai 1.550 pesos a cui era salito prima del voto. Anche in questo caso, i dati macro parlano chiaro: l’economia sta perdendo competitività. Nei primi 10 mesi dell’anno il saldo commerciale è stato positivo per 6,85 miliardi di dollari contro i 16 dello stesso periodo nel 2024: -57%. Il saldo delle partite correnti è sceso nuovamente in territorio negativo dopo il segno più dello scorso anno. Nel solo secondo trimestre, ad esempio, il surplus commerciale relativo ai beni è crollato da 7,1 a 2,7 miliardi. Per i servizi il deficit si è espanso da 1,1 a 2,5 miliardi e l’afflusso netto di capitali è sceso da -2,2 a -3,2 miliardi.


Svalutazione del peso dolorosa e necessaria
Per aumentare le riserve servirebbe liberalizzare il tasso di cambio, cosa che equivarrebbe a una ulteriore svalutazione.
Milei teme che ciò rinfocoli l’inflazione, che negli ultimi mesi si sta attestando su un dato mensile intorno al 2%. E il carovita manderebbe su tutte le furie le famiglie, che negli ultimi cinque anni soltanto hanno visto esplodere i prezzi al consumo di quasi 27 volte per un’inflazione annuale media del 93% e mensile del 5,6%. Ecco spiegate le resistenze politiche. Il rischio, però, per lo stesso Milei è di arrivare alle prossime elezioni presidenziali nel 2027 con un’economia ferma per l’assenza di investimenti esteri ed esportazioni al palo.
Nessuno investe in un’economia in cui il cambio è palesemente sopravvalutato. Così come le imprese fanno fatica ad esportare sui mercati esteri. Fu l’irrealistica parità tra dollaro e peso negli anni Novanta ad avere provocato la gravissima crisi finanziaria che avrebbe portato al default nel 2001. Milei lo sa e vorrebbe procedere con prudenza all’allentamento delle restrizioni per i controlli sui capitali. Sa anche che questa sarebbe una pietra miliare delle riforme promesse. Senza, i capitali stranieri se ne starebbero alla finestra. In queste ultime settimane dell’anno la banca centrale argentina potrebbe acquistare dollari per rimpinguare le riserve. Approfitterebbe della consueta alta domanda di pesos da parte delle famiglie sotto Natale e della conversione dei ricavi in valute straniere da parte delle imprese per fronteggiare le scadenze fiscali.
Riserve in Argentina spia di cambio forte
La strategia di Milei sembrerebbe di liberalizzare il cambio in base alle condizioni macro. La sua speranza, bene espressa da Caputo, sarebbe che l’economia argentina si rimettesse in moto al punto da trainare le riserve valutarie e non viceversa. Gli investitori non la pensano così e fintantoché non vedranno tassi di cambio “fair”, ci andranno con i piedi di piombo. Gli elettori hanno confermato fiducia nella “motosega“ del presidente, accettando i sacrifici che comporta in cambio di benefici a lungo termine. Gli errori del passato non sono ammessi.
giuseppe.timpone@investireoggi.it


