Inutile dirlo: quando si parla di pensioni, parlare di “quota” ha sempre un sapore dolce. Le pensioni a quota richiamano alla mente tempi più flessibili e favorevoli, ovvero quelli precedenti alla famigerata riforma Fornero.
Nel linguaggio previdenziale, una quota non è altro che un mix tra età anagrafica e contributi, la cui somma consente di raggiungere il requisito pensionistico. Tanto meglio se si tratta di una quota flessibile, ovvero una formula che lascia al contribuente la possibilità di “giocare” tra età e contributi, trovando la combinazione più adatta alla propria storia lavorativa.
Tanti lettori ci scrivono ogni giorno proponendo soluzioni che vorrebbero vedere applicate dal legislatore.
Alcune sono evidentemente irrealistiche, perché troppo vantaggiose per chi va in pensione e troppo onerose per lo Stato. Altre, però, meritano attenzione. Tra queste, una proposta interessante potrebbe essere quella di semplificare il sistema con due alternative alle pensioni ordinarie: un ritorno rinnovato alla quota 96 e una nuova formula flessibile chiamata quota 89.
Riforma delle pensioni: il ritorno della quota 96 e l’alternativa di quota 89
La quota 96 era una misura in vigore prima della riforma Fornero, pensata per affiancare le vecchie pensioni di anzianità. All’epoca, era possibile andare in pensione senza limiti anagrafici, con 40 anni di contributi. La quota 96, invece, consentiva il pensionamento sommando età e contributi, a partire da 60 anni di età e 35 anni di contributi.
Nel contesto attuale, una reintroduzione di questa misura potrebbe essere sostenibile solo prevedendo il calcolo interamente contributivo dell’assegno. Ciò significa che chi sceglie di uscire con questa formula accetta un importo più basso rispetto a quello che riceverebbe attendendo la pensione ordinaria.
Probabilmente, per motivi di sostenibilità finanziaria, l’età minima dovrebbe partire da almeno 62 anni, rimuovendo contestualmente misure transitorie come la quota 103 (che, guarda caso, prevede proprio i 62 anni con 41 di contributi).
Ampliare la flessibilità sarebbe vantaggioso:
- A 63 anni, si potrebbe accedere con 33 anni di contributi
- A 65 anni, basterebbero 31 anni
- A 62 anni, servirebbero 34 anni di versamenti
Si chiamerebbe flessibilità proprio per questo: perché permetterebbe scelte personalizzate, con penalizzazioni proporzionali ma anche con maggiore libertà.
Quota 96 oggi: una terza via tra pensioni ordinarie e flessibili
La quota 96 moderna potrebbe diventare la terza grande misura nel sistema pensionistico italiano, affiancando:
- La pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 e 10 per le donne)
- La pensione di vecchiaia (67 anni con 20 anni di contributi)
Con l’introduzione di questa formula rinnovata, si potrebbe semplificare radicalmente il sistema, eliminando una giungla di misure come Ape sociale, Opzione Donna, quota 103, quota 41 e così via.
Meno misure, meno regole, meno cavilli. Il risultato? Un sistema più trasparente, più comprensibile anche per chi non è esperto del settore.
Tuttavia, la criticità della quota 96 resta l’elevato numero di anni richiesti. Oggi, tra disoccupazione, lavori precari, carriere discontinue, accumulare oltre 30 anni di contributi non è così semplice. Ecco perché, per garantire vera equità sociale, occorre pensare anche a chi ha versato meno di 30 anni di contributi.
Quota 89: la nuova flessibilità per chi ha carriere brevi
Una soluzione innovativa potrebbe essere la quota 89, ovvero una formula flessibile che permetterebbe l’uscita a partire dai 64 anni di età con almeno 25 anni di contributi.
Non è un’ipotesi campata in aria: anche il CNEL, organo consultivo del Governo, sta valutando formule simili.
L’idea sarebbe quella di:
- Permettere il pensionamento con 64 anni e 25 anni di contributi
- Applicare una penalizzazione percentuale sull’assegno per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni (ad esempio, -2,5% all’anno)
- Premiare invece chi decide di lavorare oltre i 67 anni, applicando una maggiorazione sull’importo pensionistico
In questo modo, si introdurrebbe un sistema flessibile ma sostenibile, che riconosce e valorizza la varietà dei percorsi lavorativi.
Ogni contribuente potrebbe scegliere quando uscire, accettando una riduzione o un premio sull’assegno finale.
Flessibilità vera, semplificazione concreta: perché serve una riforma strutturale
Tutto ciò che abbiamo descritto non è ancora realtà normativa, ma rappresenta una sintesi concreta di proposte plausibili. Un sistema che si basi su:
- due misure ordinarie (anticipata e vecchiaia);
- una quota 96 rivisitata;
- una quota 89 flessibile.
potrebbe rendere le pensioni italiane più comprensibili, più eque e più adattabili alle esigenze di ogni lavoratore.
Non si tratta di sogni o illusioni: basterebbe la volontà politica per attuare una riforma strutturale credibile, senza moltiplicare le misure transitorie.