Se esiste una possibilità concreta di attuare una vera riforma delle pensioni nel prossimo biennio, questa passa inevitabilmente attraverso misure a basso costo. Se ai contribuenti interessa andare in pensione prima, allo Stato — e quindi all’INPS — interessa varare misure il meno onerose possibile. Ma quali potrebbero essere?
Secondo il piano più attendibile, le ipotesi in campo sono due, differenti per platea: una misura sarebbe indirizzata a chi ha lavorato molto e maturato numerosi anni di contributi; l’altra a chi ha un’età piuttosto avanzata, ma una carriera contributiva breve. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratterebbe.
Perché la riforma delle pensioni deve essere a basso costo?
Se chiedessimo alla professoressa Elsa Fornero come si possa realizzare una nuova riforma previdenziale, l’ex ministro del governo Monti risponderebbe che servono sacrifici.
I conti pubblici, così come li trovò lei — cioè scarni — lo sono ancora oggi. Di conseguenza, il contenimento della spesa pubblica deve restare alla base di ogni iniziativa legislativa.
La sostenibilità del sistema pensionistico è costantemente a rischio. Le cause sono note: ci sono sempre più pensionati, sempre meno lavoratori attivi, e sempre più persone con impieghi sottopagati, che generano versamenti contributivi insufficienti. Se consideriamo che i lavoratori sono l’ossigeno del sistema (perché versano i contributi), mentre i pensionati ne rappresentano il fabbisogno, è evidente che qualcosa va rivisto.
Inoltre, la speranza di vita è in aumento. Un dato certamente positivo dal punto di vista umano, ma che implica un maggiore esborso per l’INPS, costretto a pagare pensioni per un periodo più lungo. I contributi versati dai lavoratori non sono sufficienti a coprire queste spese, aggravate anche dal fatto che l’INPS sostiene prestazioni assistenziali che vanno oltre le pensioni.
Tutto ciò rende il sistema ancora più instabile.
La Quota 41 per tutti, ma con penalizzazioni
A tutto questo si aggiunge il fatto che la riduzione della spesa previdenziale è uno dei capisaldi dei patti di stabilità europei. È quindi evidente che una nuova eventuale riforma non potrà essere come molti la sognano, né tanto migliore della legge Fornero.
Ogni novità previdenziale tende a favorire una parte di lavoratori, ma non può favorire tutti. E sarà così anche per le due misure-chiave che potrebbero rappresentare un cambio di passo nel sistema: consentire a qualcuno di uscire prima dal lavoro, ma senza gravare interamente sullo Stato.
Una parte della pensione anticipata eventualmente ottenuta grazie a queste misure dovrà essere a carico del lavoratore. Potrà sembrare strano pagare due volte per andare in pensione, ma questa potrebbe essere la realtà: sarà il pensionato a dover sacrificare parte dell’assegno, accettando penalizzazioni, riduzioni e la rinuncia ai vantaggi economici legati alla permanenza nel lavoro (che oggi sono notevoli).
La pensione per tutti con 41 anni di contributi: a quali condizioni?
Una delle ipotesi più solide da cui partire per facilitare l’uscita anticipata dal lavoro per chi ha molti anni di contributi è la cosiddetta Quota 41 per tutti.
Non si tratta della Quota 41 per i lavoratori precoci, già in vigore, destinata a chi ha iniziato a lavorare prima dei 19 anni e ha maturato almeno 52 settimane di versamenti a quell’età. Quest’ultima, peraltro, è riservata a invalidi, caregiver, addetti a mansioni gravose e disoccupati.
Con la Quota 41 estesa a tutti, cambiano le regole: nessun vincolo di categoria, ma è necessario accettare il calcolo contributivo dell’assegno. In concreto, i lavoratori si troverebbero davanti a un bivio: restare al lavoro per altri due anni, continuando a versare contributi e ottenendo una pensione più alta, oppure uscire subito ma con una pensione decisamente ridotta.
Restando al lavoro si otterrebbe:
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Un assegno più elevato grazie a due anni aggiuntivi di versamenti.
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Un coefficiente di trasformazione più favorevole, legato all’età più alta al momento del pensionamento.
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Il mantenimento del calcolo misto, che — per chi ha più di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1996 — consente una pensione fino a un terzo più alta rispetto al calcolo solo contributivo.
Il bivio a partire dai 64 anni: come funzionerebbe la nuova flessibilità?
La pensione con Quota 41 per tutti sarebbe strutturata come misura senza limiti di età, come già accade con la pensione anticipata ordinaria. L’altra opzione — pensata per chi ha un’età avanzata ma pochi contributi — si fonda su una maggiore flessibilità in uscita.
Come funzionerebbe? Potrebbe essere possibile andare in pensione tra i 64 e i 67 anni, a condizione che l’importo maturato sia almeno pari a 1,5 volte l’assegno sociale (quindi tra 750 e 800 euro mensili, per evitare pensioni al di sotto della soglia di povertà).
In questo scenario, il bivio sarebbe il seguente:
Restare al lavoro fino ai 67 anni, aumentando l’importo della pensione grazie a:
- versamenti prolungati;
- un coefficiente di trasformazione più favorevole;
- un possibile bonus stipendiale — simile al vecchio Bonus Maroni — legato agli anni lavorati dopo aver già maturato il diritto alla pensione.
Oppure uscire anticipatamente, anche fino a tre anni prima, accettando però un taglio dell’assegno. In questo caso, si parla di una penalizzazione lineare tra il 2% e il 3% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni.