Perché l’aumento delle pensioni finisce davanti la Consulta e cosa succede adesso

Come funziona il meccanismo della perequazione e perché adesso l'aumento delle pensioni finisce di nuovo davanti alla Corte Costituzionale.
3 mesi fa
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Perché l’aumento delle pensioni finisce davanti la Consulta e cosa succede adesso
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La perequazione delle pensioni è un argomento piuttosto caldo adesso. I pensionati stanno già iniziando a fare i conti con che genere di aumento dovranno ricevere a gennaio. Perché pare che il tasso di inflazione sarà piuttosto basso rispetto a quello registrato negli ultimi anni. E le pensioni aumenteranno in maniera meno elevata rispetto a gennaio 2022 e gennaio 2023. Ed in proporzione, continueranno ad aumentare ancora meno per chi prende trattamenti più alti. Perché è il meccanismo della rivalutazione che lo impone. Ma tralasciando i calcoli e le speranze dei pensionati, ciò che finisce al centro delle questioni di attualità è proprio il meccanismo di perequazione delle pensioni.

Che dopo un ricorso alla Corte dei Conti di un dirigente scolastico nel fiorentino, finisce dritto alla Corte Costituzionale. In attesa della sentenza sulla presunta incostituzionalità del meccanismo di adeguamento dei trattamenti al tasso di inflazione, ecco che emerge il concreto pericolo che presto l’INPS dovrà risarcire alcuni pensionati. Al momento una semplice ipotesi, ma esperienza pregressa vuole che in casi di questo genere, che soccomba l’INPS non è esercizio azzardato da sostenere.

Ecco come salgono le pensioni per la rivalutazione al tasso di inflazione

Oggi le pensioni sono rivalutate al tasso di inflazione ogni gennaio. Si utilizza il tasso previsionale, quello che per esempio nel 2024 l’ISTAT fissò al 5,4%. Adesso si parla invece dell’1,6%. A prescindere da questo, l’aumento delle pensioni in misura pari al tasso di inflazione non è cosa da tutti. Perché riguarda solo le pensioni fino a 4 volte il trattamento minimo che pertanto godono della cosiddetta indicizzazione piena dei trattamenti. Invece per le pensioni da 4 a 5 volte il trattamento minimo la perequazione è all’85%. Così come per le pensioni fino a 6 volte il minimo è al 54%, per quelle fino ad 8 volte è al 47%, quelle fino a 10 volte al 37% e quelle ancora più alte al 22%.

Quindi, più è alta la pensione, meno aumenta in percentuale rispetto al tasso di inflazione. Una cosa che potrebbe stridere con i principi sanciti dalla nostra Carta Costituzionale. O almeno questo emerge adesso dall’ordinanza del 6 settembre 2024 della Corte dei Conti Toscana, la numero 33-63059.

Perché la situazione della perequazione non va bene secondo alcuni principi della Costituzione

Tutto nasce dal ricorso di un ex dirigente scolastico toscano che prendendo una pensione più alta di 5.000 euro ha ricevuto, in base alla legge di Bilancio del 2023, una perequazione inferiore al 100% per via del sopra citato meccanismo di indicizzazione dei trattamenti pensionistici al tasso di inflazione. Secondo l’INPS tutto regolare, anche perché si deve applicare il metodo deciso dai legislatori. ma è sul metodo che si può discutere per poi entrare nel merito di ciò che accade. Secondo alcuni articoli della Costituzione (per esempio il numero 36), in Italia vige una sorta di meritocrazia. L’articolo prima citato infatti recita esattamente che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Una cosa che secondo l’ordinanza della Corte dei Conti non coincide con quanto si stabilisce adesso con la perequazione ridotta delle pensioni.

Perché l’aumento delle pensioni finisce davanti la Consulta e cosa succede adesso

In buona sostanza, il meccanismo della perequazione penalizza i lavoratori che sono riusciti a prendere retribuzioni più alte o contribuzioni più importanti alla luce della più elevata qualità e quantità del loro lavoro svolto rispetto agli altri. La pensione più alta non può quindi essere interpretata come una sorta di “grande regalo” delle leggi, ma va rapportata al passato, cioè al lavoro svolto dal pensionato quando era in servizio. E la dignità di cui parla la Costituzione non può bloccarsi dopo il lavoro per questi soggetti.

Ecco quindi su cosa stride, secondo il ricorrente e secondo la Corte dei Conti, la perequazione delle pensioni rispetto alla Costituzione. Adesso dovranno essere i giudici costituzionalisti a stabilire cosa fare. Perché se mai dovessero seguire la linea della incostituzionalità, per tutti i pensionati che hanno preso dal 2022 al 2024 aumenti ridotti per via della perequazione a scaglioni, adesso potrebbe essere il momento di fare cassa.

Non è la prima volta che l’aumento delle pensioni finisce davanti la Consulta

Alla memoria non può che giungere la questione della non costituzionalità di un altro blocco della perequazione. Parliamo di quello della Legge Fornero. Nel 2011 si decise di congelare per il 2012 e per il 2013 la perequazione delle pensioni sopra 3 volte il trattamento minimo. Erano i tempi delle lacrime e sangue con la Fornero che in diretta si mise a piangere nel confermare a che genere di sacrifici vennero chiamati gli italiani. Un provvedimento che poi venne dichiarato incostituzionale e quindi che generò la restituzione delle somme non percepite dai pensionati. Una restituzione che non fu al 100% ma tramite una sorta di versamento una tantum con il famoso decreto Poletti. A prescindere da come andò quella storia, se la Consulta anche stavolta dichiarerà incostituzionale questa perequazione, allora non è sbagliato che i pensionati aspirino ad essere risarciti.

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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