Quanto prendo di pensione e come faccio a prendere una pensione più alta? Sono due delle domande più frequenti in assoluto quando si parla di previdenza. E non è un caso, perché proprio questi due temi – l’importo dell’assegno e come aumentarlo – sono al centro delle novità che interesseranno le pensioni italiane tra il 2026 e il 2027.
Parliamo di importi che saliranno per le pensioni minime, ma anche di assegni che si ridurranno, per effetto di nuovi calcoli destinati a entrare in vigore a partire da gennaio 2027.
Pensioni minime 2026 e importi pensioni 2027, novità in arrivo
Le pensioni minime 2026 aumenteranno, senza dubbio.
L’incremento previsto sarà pari all’1,6%, in base al meccanismo ormai consueto della rivalutazione automatica.
La rivalutazione serve a compensare la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione: se i prezzi aumentano, anche le pensioni devono adeguarsi.
Il sistema adottato dal governo resta quello già in vigore nel 2025, cioè a tre fasce progressive di rivalutazione:
- 100% del tasso d’inflazione per le pensioni fino a 4 volte il trattamento minimo INPS;
- 90% per la parte di importo compresa tra 4 e 5 volte il minimo;
- 75% per la parte eccedente.
Le pensioni minime, che si collocano ben al di sotto delle quattro volte il minimo, aumenteranno quindi del 100% del tasso d’inflazione.
Considerando che l’ISTAT ha certificato un’inflazione media dell’1,6% per i primi nove mesi del 2025, l’aumento sarà di questa entità.
In termini pratici, la pensione minima, oggi pari a 603,40 euro, salirà a circa 613,05 euro mensili.
Ma c’è una buona notizia in più: secondo la bozza della legge di Bilancio, il governo intende concedere anche un aumento extra di 20 euro al mese per le pensioni minime.
Un incremento aggiuntivo, dunque, oltre la rivalutazione ordinaria.
Cosa accadrà nel 2027 e perché i trattamenti calano
Alla notizia positiva sulle pensioni minime fa però da contraltare una notizia negativa per gli altri trattamenti pensionistici, che si concretizzerà nel 2027.
Chi andrà in pensione da quell’anno in poi, infatti, percepirà un assegno più basso, a parità di età, anni di contributi e montante.
Il motivo risiede nell’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione: quei parametri che convertono il montante contributivo (cioè i versamenti effettuati nel corso della carriera) nell’importo mensile della pensione.
I coefficienti vengono rivisti ogni due anni, in base ai dati sulla speranza di vita degli italiani forniti dall’ISTAT.
E più la vita media si allunga, più i coefficienti diventano sfavorevoli.
Il ragionamento è semplice: se i cittadini vivono più a lungo, lo Stato deve erogare la pensione per più tempo, e quindi riduce l’importo mensile per mantenere in equilibrio la spesa complessiva.
Già nel 2025 si è verificato un leggero peggioramento dei coefficienti, e il prossimo aggiornamento del 2027 renderà ancora più evidenti le differenze.
Chi è andato in pensione nel 2024, a 67 anni di età con 20 anni di contributi, ha ottenuto un assegno più alto rispetto a chi ha lasciato il lavoro nel 2025 o nel 2026.
E chi uscirà nel 2027, con le stesse condizioni, percepirà una pensione ancora inferiore.
In sintesi, dunque, anticipare l’uscita prima del 2027 può garantire un importo più alto, mentre chi andrà in pensione dopo quella data dovrà fare i conti con coefficienti di trasformazione meno vantaggiosi e assegni più leggeri.