Pensioni: il sistema italiano è destinato a collassare, cosa sta per accadere

Il sistema pensionistico italiano va verso l’implosione. Il pagamento delle pensioni è a rischio se non si taglieranno ulteriormente le rendite.
7 mesi fa
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pensioni al collasso

Il sistema delle pensioni in Italia è destinato a collassare in meno di 10 anni. A sostenerlo, non sono soltanto gli esperti di economia e finanza pubblica, come il presidente del Cnel Renato Brunetta, ma anche l’Inps. I numeri parlano chiaro: la spesa pensionistica continua a salire oltre le periodiche previsioni degli esperti. Colpa del ritorno dell’inflazione e delle politiche scellerate del passato. Ma anche della scarsa lungimiranza della classe politica. Non ultimo, l’esperimento di Quota 100 imbastito in maniera disgraziata insieme al reddito di cittadinanza dal governo gialloverde Conte I.

L’inverno demografico, di fronte alle previsioni di dissesto di bilancio fatte dall’Inps (oltre 90 miliardi di perdite patrimoniali entro il 2029), c’entra poco. Appare più una scusa tirata in ballo dalla classe politica e dai media per giustificare i tagli che ci sono stati e che arriveranno ancora sulle pensioni. Il problema è che il conto lo pagheranno i figli e i nipoti, non certo chi ha goduto e gode tuttora di rendite concesse con tanta leggerezza in passato.

Sistema pensioni verso il collasso

Secondo Brunetta, “il collasso dell’assetto pensionistico è verosimile” perché gravato dall’erogazione per decenni di assegni non sostenuti da adeguato gettito contributivo. E qui il riferimento è quello al sistema di calcolo retributivo delle pensioni che concedeva rendite calcolate, non tanto sugli effettivi contributi versati, quanto sulla media delle ultime retribuzioni in carriera. Il tutto accompagnato da un’età pensionabile fra le più basse d’Europa e dell’Ocse. Soldi elargiti dall’Inps, ma soprattutto dall’ex Indap che per non fallire è stato assorbito dall’Inps durante il governo Monti nel 2012.

Prima di allora il bilancio dell’Inps era in piena salute (6,5 miliardi di disavanzo primario). Va da sé che il buco dell’Inps non deriva dalla gestione delle finanze del settore privato, ma da quelle pubbliche, cioè quelle gestite dall’ex Inpdap.

La vera zavorra del sistema pensionistico italiano sta tutta lì, perché dal sistema di calcolo retributivo hanno tratto maggiore vantaggio i dipendenti pubblici, delle forze armate e di pubblica sicurezza, piuttosto che dai lavoratori del settore privato. Da qui l’allargamento nel tempo della forbice fra entrate e uscite che portano oggi l’Inps verso il collasso finanziario con i governi in corsa a tagliare le pensioni di anno in anno.

Inutile farsi illusioni. Nessuno ne parla, ma l’ondata dei baby boomer che presto graveranno sul sistema pensionistico non potranno che aggravare la situazione. Anche perché oggi come oggi – come disse più volte l’ex presidente Inps Pasquale Tridico – è impossibile garantire a lungo il pagamento di 270 miliardi di euro all’anno di sole pensioni con poco più di 20 milioni di lavoratori attivi nel nostro Paese. Sono più i soldi che escono di quelli che entrano. E’ evidente e il buco non può che allargarsi.

Il bilancio Inps scricchiola

I segnali sono evidenti e tangibili e la politica non ne parla, ma è già allarme rosso a Roma. Il bilancio di pressione Inps per il 2024 è negativo per 9,25 miliardi di euro, secondo l’ultimo documento finanziario approvato dal Consiglio d’Indirizzo e Vigilanza dell’Istituto (Civ). Non solo. Il Def (documento di economia e finanza) recentemente approvato dal governo Meloni evidenzia la necessità di stanziare nella prossima manovra di bilancio 2025 altri 18 miliardi di euro per pagare le pensioni in essere.

Insomma, tutto depone per un collasso finanziario del welfare italiano, di cui le pensioni costituiscono il maggior peso. Cosa che in parte si sta cercando di evitare con sempre maggiori trasferimenti di denaro dallo Stato all’Inps. Lo squilibrio finanziario fra entrate contributive e spesa pensionistica complessiva si sta allargando. E vale oggi il 6,1% del Pil (era meno del 3% dodici anni fa).

Soldi che arrivano dalla fiscalità generale e che coprono anche gli interventi assistenziali.

Escludendo il peso dei lavoratori pubblici, la realtà contabile sarebbe ben diversa. Senza fare i sofisticati distinguo tra prestazioni assicurative e assistenziali – sottolinea il Cnel – “al netto dei trasferimenti a carico dello Stato, le gestioni private sarebbero in attivo”. Da qui la necessità di accelerare l’entrata a regime del sistema di calcolo contributivo delle pensioni anticipate e di tagliare le rivalutazioni. Anche se questo non basterà di certo a evitare il peggio fra qualche anno.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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