I titoli di stato italiani e quelli emessi da stati stranieri ed entità sovranazionali inseriti nella “white list” del Ministero dell’economia e finanze scontano una tassazione agevolata, pari al 12,50% degli interessi e delle plusvalenze maturate, nettamente inferiore al 26% gravante sugli altri proventi di natura finanziaria, tra cui le obbligazioni private. Adesso, vediamo più nei dettagli come l’imposizione fiscale viene applicata nel concreto. Già in passato abbiamo chiarito che i guadagni realizzati dalla detenzione di un BTp possono derivare dalla cedola incassata periodicamente e dal valore di rimborso/rivendita, quando risulta superiore a quello di acquisto.

Se acquisto un bond a 97 e lo rivendo a 102, sulla differenza di 5 realizzo una plusvalenza, che si somma ai guadagni ottenuti con l’incasso del tasso d’interesse corrisposto alle scadenze date.

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Viceversa, se il valore di rimborso/rivendita risulta inferiore a quello di acquisto, subisco una minusvalenza, cioè una perdita, che lo stato mi consente di compensare con eventuali altre plusvalenze realizzate entro i 5 anni successivi. Esempio: acquisto un bond a 100 e lo rivendo a 93, per cui perdo 7. Potrò compensare entro 5 anni il 12,50% di 7, cioè 0,875. Se ho maturato plusvalenze finanziarie per un importo pari, ad esempio, a 6 e sul quale devo pagare un’imposta complessiva di 1,052 (aliquota del 12,50% su 4 e del 26% su 2), al fisco pagherò un netto di 0,177 (1,052 – 0,875).

Il problema del rateo

Il discorso si complica, però, anche con riferimento alle cedole. Quando acquisto un titolo, la quotazione è generalmente a “corso secco”, cioè non include il rateo dell’interesse maturato dal venditore fino a quel giorno. Infatti, la cedola viene messa in pagamento per intero alle scadenze date, ma chi avesse rivenduto l’obbligazione tra un periodo di godimento e l’altro ha diritto ad essere pagato dall’acquirente per il periodo di detenzione.

Esempio: cedola annuale del 5% e corrisposta ogni 6 mesi. Il titolo viene acquistato a distanza di 40 giorni dal pagamento semestrale. Dunque, il venditore ha maturato la cedola per 140 giorni su 180, pari a un interesse dell’1,94% (il tasso semestrale del 2,5% suddiviso per 180 giorni e moltiplicato per 140).

Quindi, oltre al prezzo di acquisto, bisogna pagare al venditore anche il rateo, detratta l’imposta, che nel caso specifico è del 12,50%. Dunque, nell’esempio di cui sopra, pagherò al venditore l’1,70%, pari all’1,94% al netto dell’imposta del 12,50%. Come avete capito, l’acquirente funge da sostituto d’imposta per il venditore, essendo il soggetto che alla scadenza successiva intascherà per intero la cedola.

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Facciamo un esempio pratico completo per capire come funziona. Ieri, ho acquistato 100 BTp marzo 2032 e cedola fissa 1,65% (ISIN: IT0005094088) al prezzo di 106,24. Pertanto, ho dovuto sborsare 106.240 euro, oltre chiaramente alle commissioni bancarie. Questo titolo ha staccato l’ultima cedola l’1 settembre scorso e staccherà la prossima l’1 marzo, cioè a distanza di 163 giorni dall’acquisto (il 2020 è anno bisestile). Questo significa che ho dovuto pagare al venditore un rateo corrispondente ai 19 giorni di sua detenzione del titolo, durante i quali ha maturato una cedola pari allo 0,086% (0,825% : 182 giorni x 19 gg). Al netto dell’imposta, l’esborso supplementare in suo favore è stato dello 0,075%, cioè di 75 euro.

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