La Federal Reserve ha tagliato ieri i tassi di riferimento negli USA di 25 punti base o 0,25% per la terza volta dall’inizio dell’allentamento monetario a luglio, abbassandoli al nuovo range 1,50-1,75%. Ma c’è una novità nel comunicato finale esitato dal FOMC, l’organismo di politica monetaria dell’istituto: scompare la frase “per agire appropriatamente a sostegno dell’economia”, inserita sin dal board di giugno. In effetti, la Fed definisce “moderata” la crescita economica degli USA, come a segnalare che al rallentamento in atto, definito negli ultimi comunicati “aggiustamento in corso del ciclo”, si sia già reagito con il taglio dei tassi per 75 punti base cumulati.

Adesso, la prosecuzione dell’allentamento avverrebbe solo nel caso in cui dall’economia americana arrivassero segnali ulteriormente negativi.

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Il tasso di disoccupazione a settembre è sceso al 3,5%, ai minimi da mezzo secolo, e gli analisti stimano che serve creare 109.000 posti di lavoro al mese per mantenerlo stabile. Stando all’ultima previsione di ADP, a ottobre di posti ne sarebbero stati creati 125.000, sopra il livello minimo richiesto. Se il dato fosse confermato dal Dipartimento del Lavoro e lo stesso novembre dovesse mostrarsi in linea con gli ultimi mesi, improbabile che la Fed a dicembre continui a tagliare i tassi. Né è questo che prevede il mercato, il quale assegna all’evento una probabilità minima. Quanto all’andamento degli stessi rendimenti obbligazionari, abbiamo il Treasury a 2 anni all’1,62% e quello a 10 anni all’1,77%, livelli del tutto compatibili con il range attuale dei tassi, come dire che nemmeno su questo versante si percepisca un quarto taglio imminente.

Segnali di pausa anche dal corporate USA

Spostandoci verso il comparto corporate, notiamo che i rendimenti delle obbligazioni “high yield” hanno continuato ad arretrare nelle ultime sedute, mentre quelli “investment grade” con rating “BBB” si sono stabilizzati e per le “AAA” hanno ripreso a salire.

Il restringimento degli spread tra HY e IG sarebbe conseguenza della caccia al rendimento sul mercato, che spinge gli investitori ad assumersi maggiori rischi, pur di ricavare valore. Tuttavia, esso sarebbe anche il riflesso dei minori rischi percepiti, un po’ grazie proprio alle azioni della Fed di questi mesi, così come delle prospettive economiche negli USA non certo così in peggioramento come si era temuto, sebbene il deterioramento della congiuntura appaia in atto dopo oltre un decennio di crescita, ultimamente a ritmi sostenuti.

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Da questi segnali, possiamo cogliere l’esigenza di una pausa per la Fed. Il presidente Donald Trump dovrà farsene una ragione e del resto se Jerome Powell può permettersi di sospendere momentaneamente l’allentamento è proprio per le buone condizioni di salute dell’economia a stelle e strisce. Per la BCE, il segnale che per qualche mese da Oltreoceano non vi saranno cattive sorprese per il cambio euro-dollaro, ma anche la consapevolezza che nemmeno a Francoforte si potranno teorizzare facilmente nuovi stimoli, a meno che la situazione non lo richieda in maniera tempestiva e incontrovertibile.

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