Una seduta abbastanza negativa quella di oggi per i mercati. L’Italia subisce un duro colpo ai suoi titoli di stato, con il rendimento del “benchmark” decennale in salita all’1,95% nel pomeriggio e lo spread BTp-Bund a 10 anni a 243 punti base. Oltre alla preoccupazione per il peggiore andamento dell’economia mondiale da circa un secolo atteso per quest’anno, gli investitori sono timorosi sul debito pubblico italiano, che dovrebbe oltrepassare – e forse, anche di molto – la soglia del 150% a fine 2020.

L’Eurozona non sembra orientata verso gli Eurobond, per cui all’Italia non rimarrebbe che o chiedere assistenza finanziaria al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), accettandone le condizioni “leggere” pattuite in sede di Eurogruppo, o continuare ad affidarsi ai mercati, ma a costi presumibilmente crescenti.

Italia sotto attacco finanziario

A proposito di costi, fino a quando potremmo reggerli? Per capire quali siano quelli attuali, come sappiamo bisogna guardare al rendimento del BTp a 7 anni, il quale capta la durata media residua dello stock di debito negoziabile. Oggi, viaggia sopra l’1,60%, mentre ieri si attestava appena sotto l’1,35%. Considerando che il costo medio ponderato del nostro debito a febbraio risultava inferiore allo 0,60%, da allora registriamo un grosso balzo, che in termini di spesa per interessi extra equivale a oltre 20 miliardi di euro a regime, di cui circa 4 miliardi a carico di quest’anno.

Tuttavia, lo scorso anno abbiamo pagato per interessi sul debito quasi 65 miliardi, pari al 3,6% del pil ed equivalenti a un rendimento medio dell’intero stock da 2.409 miliardi del 2,7%. Questo significa che il costo del debito in Italia sta continuando a scendere, pur meno di quanto avremmo auspicato fino a qualche mese fa. A pesare, infatti, sono i titoli emessi negli anni in cui i tassi di mercato erano più alti, specie prima del 2015, quando la BCE di Mario Draghi varò il “quantitative easing”.

In effetti, se nel 2012 pagavamo oltre il 5% del pil per gli interessi, a fronte di un rapporto debito/pil inferiore a quello del 2019 di circa 8 punti, da allora non abbiamo fatto che spendere sempre meno, sebbene il debito non abbia smesso di crescere in funzione percentuale, oltre che in valore assoluto.

Il livello di spread insuperabile

Se, invece, il rendimento medio delle emissioni dovesse superare quel 2,7% dello scorso anno, che rapportato al nuovo livelli di debito atteso per fine 2020 scenderebbe al 2,50%, i miliardi di interessi sborsati aumenterebbero. E se già quest’anno l’incidenza di questa voce di spesa sul pil dovrebbe tendere al 4% o finanche superarlo per effetto della contrazione del pil, qualora si registrasse una crescita anche in valore assoluto saremmo obiettivamente in difficoltà, perché dovremmo emettere ancora più debito delle previsioni per onorare le scadenze. Attenzione, di per sé ciò non implica che questi diverrebbe insostenibile. Se il mercato continuasse a finanziarci a costi, tutto sommato, accettabili, potremmo tirare avanti per mesi e forse qualche anno, in attesa che la ripresa dell’economia faccia il suo corso.

Il rimedio allo spread e a una crisi devastante dei BTp è solo uno

Ma è evidente che la linea Maginot per la sostenibilità del nostro debito sia quel 2,5% di tasso-limite medio accettabile, oltre il quale la spesa salirebbe. Fermi restando i rendimenti tedeschi e l’inclinazione della curva italiana, ciò significherebbe per noi tollerare uno spread massimo in area 330-350 punti base. Arrivati a tale punto, dovremmo iniziare seriamente a preoccuparci, sebbene sia probabile che la BCE faccia di tutto per tenere lo spread italiano sotto i 250 punti, concentrando gli acquisti di bond sui BTp, almeno fino a quando ciò sarà possibile. Ma che la tensione stia salendo lo segnalano anche i “cds”a 5 anni, i titoli per garantirsi contro il default, che costano oggi 213 punti base, ai massimi dal 19 marzo scorso, data di massima temperatura sui mercati globali.

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