Giornata a dir poco terribile per i BTp sui mercati finanziari. Le vendite di titoli di stato in tutta l’Eurozona stanno travolgendo i prezzi, facendo impennare i rendimenti sovrani. Il decennale italiano ha toccato il 3%, esibendo uno spread di 330 punti base, mai così alto dal 2012, quando infuriava la tempesta finanziaria nel Sud Europa. A metà seduta, la BCE è intervenuta secondo i trader per attenuare l’incendio e mentre scriviamo lo spread BTp-Bund si aggira in area 307 bp, mentre il BTp a 10 anni si attesta al 2,87%.

Ecco cosa succede se le agenzie di rating declassano i BTp a “spazzatura”

Dicevamo, tutti i titoli di stato sono nell’occhio del ciclone, con lo stesso Bund ad offrire il -0,27%, ben più del -0,45% della chiusura di ieri. Male anche i Bonos della Spagna, che sulla medesima scadenza rendono ormai l’1,18%, così come i titoli del Portogallo, all’1,50%. Persino la Francia sta risentendo piuttosto negativamente di questa fase, con gli Oat a 10 anni allo 0,40% e lo spread con la Germania tra 65 e 70 punti base.

Ma a pagare il prezzo più alto è ancora una volta l’Italia, che da ieri non ha più titoli con rendimenti negativi. Nemmeno i BoT a 1 mese sono rimasti ormai sottozero, offrendo ben più di mezzo punto percentuale. La scadenza più lunga – il 2067 – offre ormai oltre il 3%. La lievitazione dei rendimenti lungo la curva per l’Italia implica una batosta sui suoi conti pubblici. Monitorando l’andamento del BTp a 7 anni, quello che fornisce più di tutti l’idea del costo medio ponderato del debito sul mercato secondario, rispetto al mese di febbraio saremmo costretti a regime a pagare una spesa per interessi di 35 miliardi in più all’anno, 2 punti di pil.

Cresce la sfiducia nell’Eurozona

Chiaramente, questo sarebbe il conto che dovremmo pagare se la curva dei rendimenti restasse invariata da oggi ai prossimi anni.

Ad ogni modo, il salasso, per il momento solo virtuale, ci fa ben capire di quali siano i numeri in gioco e di cosa sia successo dopo quella maledetta conferenza stampa del governatore BCE, Christine Lagarde. Quel “non siamo qui a chiudere/restringere gli spread” ha rotto le dighe della speculazione, inducendo gli investitori a testare le reali intenzioni dell’istituto, dopo che per 7 anni e mezzo aveva retto la tregua voluta da Mario Draghi e ottenuta con il famoso “whatever it takes” di fine luglio 2012.

Nel complesso, non c’è fiducia sui provvedimenti assunti dai governi europei per contrastare la crisi scatenata dall’emergenza Coronavirus. Anzitutto, i governi vanno in ordine sparso e sulla base dei margini fiscali disponibili e, secondariamente, sembra non esservi coordinamento né tra di loro, né tra le istituzioni comunitarie, se è vero che i toni usati dalla BCE siano parsi alquanto diversi da quelli della Commissione, con quest’ultima ad avere sospeso il Patto di stabilità per consentire a chiunque di usufruire della massima flessibilità sui conti pubblici. Il problema sta tutto qui: se il ricorso all’indebitamento sarà la cifra della risposta alla crisi, la maggiore offerta di bond farà scendere i prezzi e salire i rendimenti degli stati più indebitati senza una “copertura” esplicita di Francoforte.

Il mercato sta scontando già un’esplosione del debito pubblico in tutti gli stati dell’area, con quello italiano verosimilmente a superare anche il 150% del pil, stando alle previsioni di cui vi abbiamo dato conto in questi giorni. E se l’era dei rendimenti negativi sembra volgere al termine in buona parte d’Europa, quali che siano le dosi di liquidità somministrate dalla BCE, il conto per l’Italia sarà più salato che altrove, perché con questi numeri una qualche forma di ristrutturazione del debito non sembra più ipotesi remota.

Previsioni choc sul pil italiano: con questi numeri drammatici, qua salta tutto!

[email protected]