Si avvicina la fatidica data del 9 marzo, quando il Libano dovrà sborsare 1,2 miliardi di dollari per pagare il bond in scadenza e sul quale ancora il governo di Beirut non ha preso alcuna decisione. Nel fine settimana scorso, Moody’s e S&P hanno tagliato i rispettivi rating da “Caa2” a “Ca” e da “CCC” a “CC”, in questo secondo caso anche con outlook negativo, portandoli su livelli ancora più “junk”. Il rischio di default sarebbe elevatissimo per le agenzie, tanto che Moody’s ha aggiunto di attendersi un “haircut” – il taglio del valore nominale dei titoli di stato – tra il 35% e il 65%.

E assurdo che possa sembrare, gli istituti si mostrano relativamente ottimisti, perché il mercato nutre aspettative ben peggiori. Tutte le scadenze superiori ai 2 anni stanno quotando intorno o anche poco sotto i 30 centesimi, segno che si attendano un “haircut” in area 70%. Esplosivi i rendimenti dei titoli in scadenza a marzo e giugno. Il primo, che ha cedola 6,375% (ISIN: XS0493540297), prezzava ieri a 54,3 centesimi di dollaro, esitando un rendimento annuale di quasi il 2.300%. E dire che la scorsa settimana aveva fatto scalpore, quando era arrivato a rendere il 1.600%.

Chiaramente, essendo ormai vicinissimo alla scadenza, ogni giorno che passa, se il prezzo non risale velocemente, il rendimento tende a crescere all’infinito. E stesso discorso per il bond in scadenza il prossimo 14 aprile e cedola 5,80% (ISIN: XS1052421150), anch’esso denominato in dollari, che offriva ieri un rendimento sopra il 765%. Non ha alleviato le perdite nemmeno la dichiarazione del ministro delle Finanze saudita, Mohammad al-Jadeen, che dal vertice del G-20 a Riad ha risposto affermativamente alla domanda se il regno sia intenzionato a sostenere il Libano.

Rendimento eurobond 9 marzo 2020 al 1.600%, la quotazione precipita

Serve un piano di riforme

Tuttavia, lo stesso ministro ha precisato che l’aiuto a Beirut verrà offerto dietro la presentazione di un “piano di riforme attuabile” e che ottenga il sigillo del Fondo Monetario Internazionale e l’assenso degli stati creditori.

I sauditi hanno stretti legami con il paese dei cedri, sebbene questi venga considerato una sorta di protettorato iraniano. Quale migliore occasione per Riad di attirare a sé il Libano, sganciandolo dal suo nemico, sostenendolo finanziariamente e approfittando anche dell’impossibilità di Teheran di correre in suo aiuto, data la profonda crisi economica e finanziaria che sta vivendo e aggravata dalle sanzioni USA?

Ma il piano delle riforme chiesto anche dal regno non sarà indolore. Esso dovrà contenere misure quasi certamente a carico dei creditori, compreso il taglio del valore nominale dei bond, sebbene una decurtazione troppo marcata rischierebbe di provocare sconquassi tra le banche domestiche, titolari di almeno un terzo dei titoli del debito emessi. Tra i circa 34 miliardi di dollari di Eurobond, i titoli denominati in valuta americana e venduti sui mercati internazionali, un terzo risulterebbe nelle mani degli investitori stranieri.

Probabile che si renda necessario l’abbandono del cambio fisso, visto che sul mercato nero un dollaro si acquista a circa il 40% più caro di quanto non costi su quello ufficiale. La flessibilità della lira libanese aiuterebbe le riserve valutarie della Banca del Libano e renderebbe con il tempo più competitiva l’economia, ma all’impatto si tradurrebbe in alta inflazione. Nel 2019, il debito pubblico si è attestato al 160% del pil, toccando i 90 miliardi di dollari. Una ristrutturazione sembra ovvia, così come la tagliola sui bond. Questo sta scontando il mercato, anche se senza un piano di riforme economiche si rischia semplicemente di allontanare i capitali stranieri senza rimuovere le cause di questa pesante crisi. Spetterà all’FMI valutare se sia il caso di prestare denaro e a quali condizioni. Restano meno di due settimane per decidere.

Il piano di salvataggio del Libano è “fake news”, default sempre più probabile 

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