Che fine farà il governo Conte-bis? Troverà un manipolo di “responsabili” in Parlamento e potrà fare a meno di Matteo Renzi o dovrà arrendersi ai numeri e rassegnare le dimissioni? E in questo secondo caso, si formerebbe un nuovo governo con la stessa maggioranza e premier diverso o con premier e maggioranza differenti o si andrebbe ad elezioni anticipate? Quando accadono eventi di questa natura, c’è un motto che domina sui mercati finanziari per capire quale sarà il possibile sbocco: “follow the money”, letteralmente “seguite il denaro/ i capitali”.

E i capitali ci dicono che l’obbligazionario ha ripiegato nelle ultime sedute in Italia, con lo spread BTp-Bund ad essere risalito in area 115-120 punti base, ai massimi da oltre un mese.

Il rendimento a 10 anni è arrivato fin sopra lo 0,60%, salvo ridiscendere sotto tale soglia. La scadenza a 5 anni è tornata, a tratti, in territorio positivo dopo diverse settimane. In sostanza, l’intera curva delle scadenze ha segnato qualche cedimento, ma nulla che possa e debba impensierirci, sempre che le vendite si fermino qui. Insomma, il mercato si aspetta la ricomposizione del quadro politico. Ammettiamo che fosse così e che i rendimenti italiani si cristallizzassero ai livelli di venerdì scorso. Quale sarebbe il costo di questa crisi politica e di governo?

Spread e rendimenti in risalita, il BTp a 5 anni torna positivo sulla crisi politica a Roma

Per capirlo, dobbiamo fare riferimento al cosiddetto “Rendistato”, il bollettino mensile della Banca d’Italia, che ci fornisce il rendimento medio lordo ponderato dei titoli di stato negoziati sul mercato secondario. A dicembre, è sceso allo 0,25%. Questo significa che se tutto il debito pubblico ci costasse tanto nel medio-lungo periodo, in interessi spenderemmo annualmente 6,5 miliardi di euro, quasi 60 in meno rispetto ai livelli del 2019.

Calcolo dei costi della crisi politica

Poiché il nostro stock del debito ha una vita media ponderata di poco meno di 7 anni, dovremmo monitorare proprio il rendimento del BTp con durata residua di 7 anni per valutare l’andamento della spesa per interessi.

Attualmente, parliamo del BTp febbraio 2028 e cedola 2% (ISIN: IT0005323032), che venerdì scorso offriva lo 0,27%. Nella prima settimana di gennaio, il bond rendeva mediamente lo 0,22%, mentre la settimana scorsa è salito a un rendimento di poco inferiore allo 0,29%. Il rialzo è stato di 6,6 punti base, che su uno stock di circa 2.590 miliardi di euro a fine 2020, stando alle previsioni, inciderebbe per circa 1,5 miliardi di euro al netto della tassazione.

In realtà, non tutto il debito si ha in forma di titoli di stato. Essi incidevano per l’83% del totale a fine 2019, ma presumibilmente di più a fine 2020. Tuttavia, per approssimazione applichiamo tale rendimento all’intero stock. Bisogna considerare, poi, che su circa un quarto di esso, quello detenuto dalla BCE, nei fatti il Tesoro non paga interessi, dato che l’istituto gira alle banche centrali nazionali le cedole e le eventuali plusvalenze incassate, finendo a loro volta sui conti degli stati. Inoltre, il Tesoro può sempre variare le scadenze medie delle nuove emissioni, accorciandole per risparmiare sugli interessi quando i rendimenti salgono, allungandole quando questi scendono. Comunque sia, il calcolo grossolano serve a darci una minima percezione di quanto il teatrino della politica impatti sui contribuenti.

Attenzione, perché siamo dinnanzi a un calcolo molto provvisorio, oltre che approssimativo. In caso di elezioni anticipate, ad esempio, non vi è dubbio che i rendimenti salirebbero vertiginosamente – c’è chi adombra uno spread a 200 punti – per il timore di una vittoria delle forze politiche euro-scettiche. Il conto risulterebbe molto più salato. E per ogni 100 punti base di aumento medio, dovremmo sborsare quasi 23 miliardi netti in più.

Esiste un rischio rating sovrano per l’Italia e quanto impatterebbe il “downgrade” sui BTp?

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