Annuncio a sorpresa di Telecom Italia, che in queste ore sta collocamento sul mercato il suo primo “green bond”. L’operazione è stata prevista di importo massimo fino a 1 miliardo di euro e viene gestita in queste ore da Banca Akros, BNP Paribas, Credit Agricole, Deutsche Bank, Unicredit, Banco Santander, BBVA, Credit Suisse e UBI Banca.

Con i capitali raccolti, l’ex monopolista punta ad ammodernare la rete e al contempo ad abbattere le emissioni inquinanti fino alla loro neutralità entro il 2030.

Il titolo avrà scadenza di 8 anni e secondo la guidance avrebbe dovuto attestarsi attorno a un rendimento del 2,25%, cioè a circa 255-260 punti base sopra il tasso “midswap”. Grazie agli ordini elevati, pari a 3,5 miliardi, il rendimento è stato abbassato all’1,875%. Per la compagnia italiana si tratta di un ritorno sul mercato obbligazionario dopo quasi due anni. La precedente emissione, infatti, risale al 16 aprile 2019, quando venne collocato un bond “callable” con cedola fissa 2,75% e scadenza aprile 2025 (ISIN: XS1982819994) per 1 miliardo di euro. Ai prezzi attuali, sopra 105, offre un rendimento in area 1,50%, poco più della metà del 2,875% esitato all’atto dell’emissione.

Tra le scadenze più lunghe troviamo, invece, il bond marzo 2055 e cedola 5,25% (ISIN: XS0214965963), che in queste ore si acquista per quasi 128, in rialzo di oltre il 9% nell’ultimo anno. Al momento, rende il 3,81%. Ricordiamo che il debito di Telecom Italia è considerato ad alto rischio, in quanto l’emittente gode di rating “junk” secondo le principali agenzie internazionali: BB+ per S&P e Fitch, Ba2 per Moody’s.

 

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Governance Telecom e questione rete

La compagnia ha chiuso i primi 9 mesi del 2020 con ricavi per 11,66 miliardi di euro, in calo del 13,2% su base annua, nonché un utile netto di 1,18 miliardi, in rialzo dagli 852 milioni dello stesso periodo del 2019, ma per effetto di una grossa plusvalenza realizzata nel corso dell’anno.

Il green bond in sé dovrebbe esibire una buona performance, una volta negoziato sul mercato secondario, grazie agli acquisti della BCE, che nei prossimi mesi potrebbe arrivare a spendersi favorevolmente per concentrare i suoi programmi monetari proprio sul debito emesso dalle società a basso impatto ambientale.

Peraltro, tra i fondi è scattata la caccia alle obbligazioni “verdi”, al fine di rispondere alla crescente domanda dei clienti per investimenti sostenibili ed eco-compatibili. Questo non esclude, tuttavia, i rischi ordinari. Per prima cosa, Telecom Italia risente chiaramente della dinamica negativa del mercato domestico, gravato da una crisi senza precedenti dalla nascita della Repubblica. Secondariamente, come tutte le utilities rimane esposta al rischio di un rialzo dei tassi, essendo gravata da un debito finanziario lordo rettificato di ben 30,3 miliardi, di cui quasi 20 in forma di obbligazioni.

C’è, poi, la questione governance. Attualmente, la compagnia risulta controllata da un’alleanza di fatto tra fondi stranieri, tra cui Elliott Management, e la Cassa depositi e prestiti, cioè lo stato italiano. Con quasi il 24% del capitale, Vivendi rimane socio forte, pur non in maggioranza nel cda. In questo quadro affatto stabile, il governo sta cercando di unificare la rete in fibra ottica di Telecom con quella di Open Fiber, a sua volta controllata da CDP ed Enel, entrambe società pubbliche. Ma la fusione dovrebbe comportare anche il previo scorporo della rete dal resto degli assets della compagnia, con annessa scissione del debito pro-quota. Tutti aspetti che a priori oggi non ci consentono di capire bene l’evoluzione dell’affidabilità creditizia dell’emittente, non essendo chiaro se lo “spin-off” avrà conseguenze neutrali o di altra natura sui conti societari.

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