Cedola e rendimenti elevati nell’era dei tassi a zero? E’ difficile trovare obbligazioni con simili caratteristiche, ma qualcosa in giro c’è. E sul mercato italiano abbiamo scovato le obbligazioni di Telecom Italia con scadenza 24 gennaio 2033 (ISIN: XS0161100515) e tasso d’interesse annuo del 7,75%. Furono emesse nel gennaio 2003 come trentennali, per cui ai tassi di allora la cedola risultava in linea con le aspettative del mercato. Oggi, però, il titolo lo si acquista a circa 147. Questo significa che per portare a casa obbligazioni dal valore nominale di 1.000 euro ne dovrò spendere 1.471.

A questo punto, la cedola del 7,75% ammonterebbe a 77,50 euro per ogni 1.000 euro, ma rapportata all’esborso effettivo renderebbe il 5,27%. Al netto dell’imposizione fiscale del 26%, la cedola scenderebbe ancora al 3,90% dell’investimento, che resterebbe una percentuale di tutto rispetto in una fase come questa, considerando che ormai il BTp 2067, il più longevo esistente sul mercato sovrano domestico, offra meno dell’1,75% netto.

Non è finita, però, perché alla scadenza l’emittente ci rimborserebbe 1.000 euro e non i 1.471 euro effettivamente spesi. Per questo, tra circa 12 anni e mezzo accuseremmo una minusvalenza del 32% (471/1.471). Spalmandola per la durata residua del bond, farebbe il 2,57% lordo di rendimento annuo in meno, qualcosa come il -1,90% netto. Sottraendolo al 3,90% netto effettivo della cedola, porterebbe il rendimento al 2% netto.

Obbligazioni con rating “spazzatura”

Può sembrare poco, eppure dovrebbe dopo tutto bastare a proteggere il capitale investito dalla perdita del potere di acquisto. Il tasso d’inflazione in Italia è attualmente negativo, ma si consideri che l’obiettivo di medio termine della BCE consiste nel perseguire una crescita tendenziale dei prezzi di poco inferiore al 2%. Non ci riesce ormai da circa 7 anni e mezzo. In questa fase, risulta difficile immaginare che da qui al 2033 l’inflazione mediamente superi il 2% offerto dal bond.

Certo, abbiamo fatto un confronto con i rendimenti dei BTp, anche se bisogna ammettere che i rating di Telecom Italia siano più bassi: “Ba1” con prospettive negative per Moody’s, “BB+” con prospettive stabili per S&P e Fitch.

Per questo, trattasi di un titolo “junk” o “non investment grade”, più brutalmente definibile anche come “spazzatura”. Il rischio teorico di default sarebbe medio-alto, ma si consideri che la società telefonica è tornata da qualche anno ad essere partecipata dallo stato tramite la CDP e appare obiettivamente complicato pensare che, nel caso di difficoltà, Telecom verrebbe lasciata fallire, cosa che invierebbe ai mercati un messaggio sbagliato anche riguardo alla sostenibilità del debito sovrano tricolore.

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