Il Perù si accinge ad emettere una quantità rilevante di bond per finanziare un pacchetto di stimoli fiscali del governo, finalizzato a combattere la crisi provocata dall’emergenza Coronavirus. Sul piatto vi sono 90 miliardi di nuevo sol, pari a 23,4 miliardi di euro e a circa il 12% del pil. Tre le aree di intervento: contenere l’epidemia, sostenere la catena dei pagamenti e riattivare la produzione nel secondo paese produttore di rame al mondo. In effetti, circa un terzo delle esportazioni peruviane riguardano il rame, le cui quotazioni internazionali sono scese del 20% quest’anno.

E tutti i principali mercati di sbocco del Perù sono stati colti dalla pandemia, varando provvedimenti di “lockdown”. Parliamo di Cina, USA, Corea del Sud e Giappone, per limitarci ai maggiori partner.

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Quest’anno il cambio ha perso quasi il 4% contro l’euro, mentre la curva dei rendimenti è diventata un po’ più ripida, come testimonia la discesa dei biennali dall’1,90% all’1,25%, contestualmente alla salita dei decennali dal 4,20% al 5,05%. Evidentemente, i mercati si attendono un taglio dei tassi a breve, ma forse anche un surriscaldamento dei prezzi nel medio-lungo termine. Ad oggi, l’inflazione non sembra un problema. A marzo, risulta scesa all’1,8%, mentre la banca centrale tiene i tassi al 2,25%, disponendo di qualche margine per abbassarli e sostenere così l’economia domestica senza impattare sul cambio.

Probabile che il governatore Julio Velarde voglia attendere un’ulteriore discesa dell’inflazione, grazie al crollo delle quotazioni petrolifere, prima di intervenire. Ad ogni modo, il profilo di credito del Perù appare medio-alto. Le agenzie di rating assegnano al debito sovrano di Lima giudizi positivi: “A3” per Moody’s, “BBB+” per S&P e Fitch, “BBB-high” per Dbrs. Il 2019 si è chiuso con un deficit all’1,6% del pil, mentre il debito si attesta intorno al 27%.

Il debito in dollari

Anche considerata la solidità del cambio nel medio-lungo periodo, bisogna ammettere che i rendimenti peruviani si mostrano abbastanza appetibili, per quanto non elevati proprio per il basso rischio segnalato dalle agenzie. Un po’ di valore potrebbe ricavarsi anche dalle emissioni in dollari. La scadenza 21 luglio 2025 e cedola 7,35% (ISIN: US715638AS19) quotava ieri a 125,62, offrendo un rendimento del 2%. Basso, ma pur sempre maggiore dello 0,39% del Treasury di pari durata. E il bond 20 giugno 2030 e cedola 2,844% (ISIN: US715638DA73) rendeva il 2,56%, anche in questo caso notevolmente di più dello 0,63% del decennale americano.

Spostandoci verso le scadenze più longeve, abbiamo quella del 18 novembre 2050 e cedola 5,625% (ISIN: US715638BM30), che rende in area 3%. Come potete capire, non siamo in presenza di rendimenti entusiasmanti, ma il debito peruviano in dollari si mostra interessante per quanti volessero inserire in portafoglio obbligazioni in valuta americana più redditizie dei Treasuries e relativamente sicure. Qualche rischio in più sul fronte del cambio lo si corre con i bond in valuta locale, ma lì potrebbe esservi qualche soddisfazione con la ripresa delle quotazioni del rame, a pandemia finita. E l’abbassamento dei tassi sosterrebbe l’obbligazionario domestico nei prossimi mesi.

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