Riuscirà Mario Draghi a formare il nuovo governo? Al di là delle sue indiscusse capacità di leadership, i numeri in Parlamento non depongono a favore di soluzioni facili. Del resto, siamo al terzo governo in meno di tre anni nel corso di questa legislatura. E ognuno di colore politico del tutto differente dal precedente. Ma una cosa è sicura: l’ex governatore della BCE piace tantissimo ai mercati finanziari. E’ percepito affidabile, pragmatico, competente, europeista e al contempo visionario di una diversa connotazione delle istituzioni comunitarie.

Il suo appeal come premier verrebbe immediatamente trasferito ai titoli del nostro debito pubblico.

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Ad oggi, non ci stanchiamo mai di ripetere che l’Italia presenta i rendimenti sovrani più alti dell’Eurozona, insieme a quelli della Grecia. E, addirittura, per le scadenze lunghe superiamo persino Atene. In valore assoluto, i BTp offrono pochissimo, ai minimi storici. Tuttavia, in relazione a quanto accade nel resto dell’unione monetaria, restiamo di gran lunga più generosi. Tanto per fare un esempio, i rendimenti reali a 10 anni, cioè tenuto conto dell’ultimo dato disponibile sull’inflazione, si attestano allo 0,80%, quando in Germania crollano al -1,50%.

Oramai, il nostro essere rimasti indietro lo si misura non più attraverso lo spread BTp-Bund decennale, di per sé basso e accettabilmente stabile da settimane in una forchetta che varia da 100 a 120 punti base, quanto dalla distanza con la Spagna. I Bonos a 10 anni offrivano ieri lo 0,18%, ma hanno visto nelle scorse settimane finanche azzerare il loro rendimento. Per non parlare dei titoli del Portogallo, scesi persino sottozero. Quei circa 50 punti base di spread che ci separano da Madrid non sono dovuti tanto dal maggiore rischio sovrano in sé, nei fatti spento dalla BCE, per quanto i nostri fondamentali appaiano effettivamente peggiori su debito e crescita, quanto al diverso quadro politico.

L’Italia si presenta perennemente instabile, erratica nei suoi rapporti con Bruxelles e con una maggioranza di forze politiche d’impronta euro-scettica.

L’impatto di Draghi sullo spread

Proprio questa peculiarità mette sulle spine gli investitori stranieri, che non se la sentono mai di buttarsi definitivamente sul nostro debito, fiutando il rischio di un cambio di governo e di mandato politico da un momento all’altro. Con Draghi premier, questo gap verrebbe, se non del tutto colmato, perlomeno fortemente ridotto. Il suo ingresso a Palazzo Chigi vorrebbe dire due cose: anzitutto, che per un periodo ci sarà sicuramente a Roma un governo di fede europeista e capace di negoziare con le istituzioni europee; inoltre, che con ogni probabilità, tra un anno lo stesso Draghi diverrebbe presidente della Repubblica, una carica che riuscirebbe a contenere eventuali spinte euro-scettiche da parte di un qualche futuro premier, che si chiami Matteo Salvini o meno.

Se Draghi riuscisse a formare il nuovo governo, lo spread BTp-Bund scenderebbe verosimilmente sotto i 100 punti base. E con le settimane tenderebbe finanche ai livelli spagnoli, ovvero in area 60-70 bp. Mezzo punto percentuale in meno, che implicherebbe rendimenti italiani azzerati o quasi sulla scadenza a 10 anni e negativi fino a quella degli 8-9 anni. Il miglioramento si mostrerebbe marcato anche per le scadenze più longeve. Il tratto a 30 anni scenderebbe dall’1,50% attuale all’1%, mentre il BTp 2067 probabilmente scivolerebbe a un rendimento in area 1,25% dall’1,75%. Per i contribuenti italiani, una nuova manna dal cielo. L’eventuale restringimento degli spread abbasserebbe ulteriormente la spesa per interessi. Mezzo punto in meno lunga la curva equivarrebbe a un suo calo nel lungo periodo di 10-12 miliardi di euro all’anno.

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