Al London Metal Exchange, il prezzo del rame è salito del 40% rispetto ai minimi dell’anno toccati nel marzo scorso. Stamattina, viaggia a 6.700 dollari per tonnellata, riportandosi ai massimi dal giugno 2018. Siamo ancora lontani dall’apice storico del febbraio 2011, quando le quotazioni sfiorarono i 10 mila dollari. Tuttavia, il balzo negli ultimi mesi c’è stato ed è innegabile che voglia dire qualcosa. Per il mercato obbligazionario sarebbe una cattiva notizia. Il rame trova, infatti, applicazione diffusa nell’industria manifatturiera, per cui un suo apprezzamento segnalerebbe la ripresa dell’attività produttiva globale e, in genere, anche dei prezzi.

In sostanza, il boom del metallo rosso potrebbe equivalere a reflazione. Se così fosse, i prezzi delle obbligazioni di stato e corporate scenderebbero nei prossimi mesi, scontando tassi d’inflazione più alti. I rendimenti risalirebbero e senza una ripresa robusta dell’economia rischierebbero di diventare poco sostenibili per gli stati e le imprese emittenti. Questo secondo effetto verrebbe scongiurato, però, proprio dalla ripresa dell’industria, di cui il rame sarebbe la spia.

Ad ogni modo, le conclusioni a cui stiamo giungendo appaiono un po’ semplicistiche. Il rame sta riscoprendo una sua seconda vita grazie alla svolta “green” del pianeta. Le nuove turbine usate per la produzione di energia eolica e solare impiegano fino a 12 volte la quantità di metallo delle precedenti, così come le auto elettriche per 4 volte in più. E si consideri che solo la rete 5 G in Cina richiede 72 mila tonnellate di rame. Insomma, c’è una domanda in fortissima crescita e di per sé non rifletterebbe l’andamento dell’industria nel suo complesso, ma in misura crescente del segmento legato alla sostenibilità ambientale.

Su quali bond investire nel caso inatteso di reflazione?

Trend rialzista per tutti i metalli industriali

Stando così le cose, potremmo dormire sonni più tranquilli ancora per un po’. Non saremmo dinnanzi a una ripresa così vigorosa dell’economia da temere la reflazione.

Anzi, ad oggi gli indici dei prezzi al consumo appaiono più a rischio deflazione, specie nell’Eurozona, dove anche a settembre si è registrato un calo tendenziale dello 0,3% e la BCE prevede che il trend resti tale fino alla fine dell’anno. Del resto, il rame va inquadrato nel più ampio mercato delle “commodities”. Il petrolio viaggia ancora a quasi il -50% da inizio anno, con il Brent in area 40 dollari al barile. Per contro, alluminio, piombo, zinco e nickel si sono tutti riportati ai livelli immediatamente pre-Covid, se non battendoli, segno che effettivamente la domanda industriale tira.

Peraltro, i metalli industriali non sono solo una spia dell’andamento del settore, ma a loro volta incidono sui prezzi dei beni al consumo, per cui il fatto che le loro quotazioni si siano impennate negli ultimi mesi, più che recuperando le perdite accusate con l’emergenza Covid, dovrebbe tenerci in allerta. Il mercato obbligazionario non può compiacersi troppo a lungo dei rendimenti ai minimi storici e continuare a comprare a prezzi esorbitanti. Che i bond siano in bolla è da tempo il segreto di pulcinella. Semmai, nessuno riesce a capire più quando sentiremo il botto e la crisi sanitaria ha diluito i tempi, inducendo in molti investitori un senso di sicurezza per il breve e medio termine, che è forse il vero grosso rischio di questa fase.

BTp al test della reflazione per un portafoglio a prova di ripresa

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