Nuova emissione di obbligazioni da parte di Intesa Sanpaolo e rivolta esclusivamente ai clienti del private banking, non agli investitori istituzionali. L’offerta per la raccolta delle adesioni è prevista per il 16 giugno. Taglio minimo di 250 mila euro e con possibilità di salire solo con multipli di 250 mila, di fatto precludendo gli investimenti ai piccoli risparmiatori. Si tratta di due bond subordinati con scadenza 29 giugno 2027 per entrambi, di cui uno con cedola fissa del 3,75% (ISIN: IT0005412264) e l’altro con cedola variabile del 4,05% + Euribor a 3 mesi (ISIN: IT0005412256).

Come sappiamo, i bond subordinati sono più rischiosi di quelli senior, in quanto prevedono clausole per le quali i pagamenti delle cedole e finanche del capitale possono essere sospesi o annullati al verificarsi di determinate condizioni, come la riduzione dei ratios patrimoniali al di sotto di un livello prefissato.

Cos’è il “basket bond” di Intesa Sanpaolo e perché fare attenzione

Inoltre, con l’entrata in vigore del “bail-in” nel 2016, questi titoli vengono coinvolti nelle perdite della banca con precedenza rispetto a quelli senior e subito dopo le azioni, qualora si renda necessario per evitare il crac e, comunque, prima che lo stato intervenga con un salvataggio a carico dei contribuenti. Tuttavia, questi titoli in corso di emissione appaiono meno rischiosi di quanto immagineremmo leggendo queste condizioni. Anzitutto, perché Intesa Sanpaolo gode di una forte solidità patrimoniale, con un CET 1 al 14,2%, un Tier 1 al 16,1% e un Total Capital Ratio al 18,5%, ben oltre i livelli minimi imposti dalla BCE alle grandi banche europee.

Inoltre, trattasi di obbligazioni subordinate del tipo “Lower Tier 2”, le quali consentono il pagamento della cedola anche per i casi in cui i ratios patrimoniali scendessero sotto i livelli minimi fissati da Francoforte. L’aspetto interessante di questi due bond è innegabilmente il rendimento. Il tasso variabile, considerando che l’Euribor a 3 mesi oggi si attesti al -0,31%, sarebbe del 3,74%, in linea con il tasso fisso.

Ed entrambi risultano ben più alti del bond subordinato T2 di Intesa, che scade nel settembre 2026 e con cedola fissa del 3,9280% (ISIN: XS1109765005), il cui rendimento oggi si aggira al 2,86%.

Rischi e convenienza

Per quanto stiamo parlando di un titolo che scade 9 mesi prima, la differenza di ben lo 0,90% appare abbastanza elevata. Si consideri che pochi giorni fa, sempre Intesa ha emesso un “senior preferred bond” da 1,25 miliardi e con scadenza nel 2025, spuntando sul mercato un rendimento del 2,15%. Quella è stata la prima emissione dopo il Covid-19. Perché pagare almeno mezzo punto percentuale di più rispetto a quello che il mercato pretenderebbe? Probabile che Carlo Messina punti a premiare la clientela con uno strumento finanziario ad essa rivolto e più goloso di quanto teoricamente dovrebbe risultare, stando ai numeri di mercato.

Pioggia di obbligazioni subordinate a rendimenti appetibili e preclusi ai risparmiatori

Certo, i rischi non vanno nemmeno sottovalutati. Il Gruppo Intesa, incluso il comparto assicurativo, detiene a bilancio titoli del debito pubblico italiano per circa 100 miliardi di euro, assorbendo l’80% del CET 1. Dunque, gli indici di patrimonializzazione sono molto esposti alla volatilità dei BTp, anche se difficilmente possiamo immaginare che questi scendano al punto da innescare criticità a carico delle obbligazioni subordinate, perché la banca vanta una grossa capacità di attirare capitali sul mercato e, all’occorrenza, riuscirebbe a superare fasi negative. Per non parlare della convenienza del bond con cedola variabile. Se l’Euribor risalisse nei prossimi anni, almeno a zero, il rendimento del titolo si porterebbe in area 4,50%. Considerate che oggi, il BTp a 7 anni rende appena l’1,16% e già è un livello spropositatamente alto rispetto al panorama dei mercati avanzati.

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