Sono settimane fitte di appuntamenti sul mercato obbligazionario italiano, dove il crollo dei rendimenti sta sostenendo le emissioni di bond e, in particolare, da parte di banche e assicurazioni. Negli ultimi giorni, diversi sono stati i collocamenti di obbligazioni subordinate del tipo Tier 2, quelle che per chi le emette vengono computate parzialmente come capitale, migliorandone i ratios patrimoniali. Unicredit ha raccolto capitali per 1,25 miliardi di euro con un decennale, rimborsabile anticipatamente dopo 5 anni (“callable”), garantendo una cedola fissa del 2% per i primi 5 anni.

Nel caso di mancato esercizio della “call”, Piazza Gae Aulenti assicurerebbe una cedola per i successivi 5 anni pari al tasso “midwap”quinquennale aumentato di 240 punti base. Il prezzo di emissione è stato pari a 99,783%, per cui il rendimento esitato è risultato di poco superiore al 2%.

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E anche BancoBPM ha provveduto a rifinanziarsi sul mercato con l’emissione di un decennale, anche in questo caso “callable” dopo 5 anni, raccogliendo 350 milioni di euro con l’offerta di una cedola fissa del 4,25% per i primi 5 anni e garantendo una cedola pari al tasso “midswap” quinquennale + uno spread di 467,2 punti base dal sesto fino al decimo anno per il caso di mancato esercizio del riacquisto. Poiché l’emissione è avvenuta alla pari, il rendimento esitato è stato per l’appunto del 4,25%.

Infine, Generali. In questo caso, il bond Tier 2 ha scadenza nell’ottobre 2030, cioè presenta una durata residua di 11 anni. E c’è una peculiarità: trattasi di un’obbligazione “green”, cioè i 750 milioni raccolti verranno utilizzati per finalità eco-sostenibili. In questo caso, il rendimento finale è stato fissato a 235 punti base sopra il corrispondente “midswap”, vale a dire in area 2,25%. Come potete notare, a parità di scadenze, i rendimenti offerti variano anche parecchio tra loro. Da cosa dipendono le differenze? Ovviamente dal rating. Le emissioni subordinate Tier 2 di Unicredit sono giudicate “Baa3” da Moody’s, “BB+” da S&P e “BBB-” da Fitch.

Quelle di BancoBPM sono valutate “B1” da Moody’s e “BB” da Dbrs, cioè 4 gradini più in basso secondo la scala della prima. Infine, quelle di Generali sono “Baa3” per Moody’s e “BBB” per Fitch.

Pesano i rating, ma risparmiatori non possono approfittarne

A conti fatti, BancoBPM paga oltre il doppio di Unicredit per via del rating inferiore, ma anche la stessa Generali spenderà qualcosa di più per un debito valutato dalle agenzie di rating sostanzialmente rischioso quanto quello della banca guidata da Jean-Pierre Mustier, pur di un solo anno più longevo. E questo, nonostante la compagnia sia ricorsa a un bond “green”, che il mercato si mostra solitamente disposto ad acquistare a prezzi superiori di quelli ordinari. Dunque, Unicredit ha spuntato le migliori condizioni, BancoBPM le peggiori tra le tre emittenti. Ad ogni modo, gli obbligazionisti si sono portati a casa rendimenti decisamente superiori la media del mercato, se si considera che ormai un decennale sovrano italiano, pur sostanzialmente “risk free”, non offre più dello 0,90%.

Ma questi bond non sono stati collocati tra tutti gli investitori, bensì solo tra gli istituzionali. Questo è l’andazzo ormai degli ultimi anni, dovuto al timore che serpeggia tra i board delle banche di ritrovarsi dinnanzi a risparmiatori inferociti nel caso in cui dovessero subire perdite per via della natura rischiosa delle obbligazioni subordinate. Nessuno intende rivivere i tempi bui delle proteste contro le banche andate a gambe per aria e salvate dallo stato, i cui titoli del debito hanno inflitto pesanti perdite agli obbligazionisti, rimborsati perlopiù dopo anni dai contribuenti e successivamente a tante polemiche.

La decisione di riservare tali emissioni ai soli istituzionali potrebbe sembrare saggia, ma al contempo si mostra discriminatoria verso i piccoli investitori individuali, ai quali semmai andrebbe spiegata bene la natura di questi titoli con una campagna informativa adeguata, quella che è mancata negli anni passati e che ha provocato giuste recriminazioni da parte dei clienti, specie per le pratiche opache messe in campo per vendere spesso il debito nelle proprie stesse filiali.

Si è deciso di buttare il bambino con tutta l’acqua sporca e la conseguenza è che oggi non c’è modo per un singolo investitore di ottenere un rendimento apprezzabile sul mercato domestico, a meno di non buttarsi su qualche affare davvero rischioso, forse ben più di quanto non sarebbero le obbligazioni subordinate.

Obbligazioni subordinate “vietate” ai risparmiatori, giusto privarli di opportunità di guadagno?

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