I rendimenti sovrani e persino corporate nell’Eurozona sono sprofondati ai nuovi minimi storici. Un decennale tedesco offre il -0,6/-0,7%, vale a dire che alla scadenza infligge perdite nominali certe per il 6-7% del capitale investito. Resta leggermente generoso il corrispondente BTp, che ancora offre la media dello 0,90% lordo nelle ultime sedute, ma riesce a malapena a coprire l’inflazione. Chi “pretendesse” di ottenere un minimo rendimento reale dall’investimento dovrebbe guardarsi attorno, ovvero uscire dall’unione monetaria e puntare sulle obbligazioni espresse in valute estere.

Già il Treasury si mostra più interessante, per quanto anche la sua curva si sia sgonfiata negli ultimi mesi, con il decennale ad essersi dimezzato dal 3,25% a cui era giunto nel novembre 2018 a meno dell’1,60%.

Investire in bond emergenti in valute forti? Ecco a cosa guardare per limitare i rischi

Ma i pasti gratis nella vita non esistono. Rendimenti maggiori sono sempre lo specchio o di un più alto rischio d’insolvenza o di un rischio di cambio, se non di entrambi. Nel caso dell’America, evidentemente è il secondo a giocare un ruolo determinante. In effetti, i Treasuries rendono di più per la struttura dei tassi superiore, riflettendo un’economia cresciuta a ritmi più vivaci dell’Eurozona nell’ultimo decennio, tanto che il dollaro si è apprezzato contro l’euro di oltre il 20% dalla metà del 2014. E, però, il rischio di chi acquista un bond in dollari è di ritrovarsi alla scadenza un capitale deprezzato, una volta convertito in euro, in quanto le previsioni sul cambio tra le due valute vanno tutte nella direzione di scontare un indebolimento del biglietto verde contro la moneta unica.

Come funziona la copertura

Servirebbe coprirsi dal rischio di cambio, quindi, nel caso in cui si mettesse il naso fuori dall’Eurozona. Ma la copertura ha un costo. Nel caso specifico, il 2,5% all’anno.

Troppo, se si considera che praticamente nessun bond a stelle e strisce offre ormai tale percentuale, con il trentennale oggi in area 2,10%. Come si ricava il costo di cui sopra? Dalla differenza tra i tassi a breve in euro e quelli in dollari: l’Euribor a 1 mese viaggia al -0,45%, mentre il Libor sulla medesima scadenza vale poco più del 2%. Poiché i contratti “swap” sul cambio prevedono lo scambio di flussi di interessi maturati sui nozionali in valute diverse, un investitore europeo dovrebbe pagare a una controparte americana il 2% e ricevere il -0,45% su base annua, cioè sborserebbe il 2,5% per coprirsi dal rischio di cambio, in relazione a titoli che offrirebbero l’1,5-2%.

Altrove, la situazione sarebbe anche peggio. Volete coprirvi dalla volatilità della lira turca, approfittando dei rendimenti assai interessanti offerti da Ankara? Ebbene, dovreste mettere mano al portafoglio per circa il 17% all’anno, qualcosa come il 2% in più rispetto a quanto garantito da un decennale alla scadenza. Musica leggermente diversa per le obbligazioni sovrane in rand sudafricani: costo in area 7%, a fronte dell’8% di un decennale o di quasi il 10% di un trentennale. Al netto, ricavereste almeno il rendimento minimo per tutelarvi dall’inflazione.

Questi bond in rand sudafricani renderebbero bene anche al netto del rischio cambio

E, infine, se puntassimo sul Giappone? I suoi tassi a breve si attestano in area -0,14%, per cui il costo della copertura su obbligazioni in yen per un investitore dell’Eurozona sarebbe dello 0,30%. Manco a dirlo, per il rotto della cuffia sarebbero solo i titoli nipponici a 40 anni a garantire un simile rendimento. Insomma, il gioco non vale la candela nemmeno in questo caso. Questo non significa che la copertura del rischio cambio sia una strategia insensata, semmai che bisogna valutare caso per caso. Se il costo nemmeno copre i ricavi attesi, meglio sarebbe speculare scoperti e confidare in un cambio stabile o nell’apprezzamento della valuta in cui avete investito.

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