In settimana, il Cile ha emesso debito sovrano denominato in euro e dollari per un ammontare complessivo di $2 miliardi. In particolare, sono stati collocati sul mercato nuovi decennali in dollari con scadenza 2031 per 1,458 miliardi e a un prezzo di 99,958 centesimi, a fronte di una cedola del 2,45%, esitando così un rendimento lordo annuo del 2,454%, 180 punti base sopra il corrispondente Treasury. Prima dell’emissione, il Tesoro di Santiago aveva stimato un extra-costo di 225 punti base. Inoltre, ha raccolto altri 500 milioni per il bond 2025 in euro e cedola 1,625%, che ha esitato un prezzo di 102,098 e un rendimento dell’1,165%, 150 punti base sopra il mid-swaps, meno dei +195 inizialmente ipotizzati.

Nel primo caso, gli ordini si sono attestati a 8,2 miliardi di dollari, 5,7 volte l’importo offerto. Nel secondo caso, sono stati pari a 3,5 miliardi di euro, 7 volte più alti.

I rendimenti cileni tornano a crescere, opportunità o rischio?

Certo, se si considera che ieri il quinquennale italiano viaggiasse a un rendimento dell’1,30%, in pochi tra noi italiani vorremmo spostarci a investire in Cile per percepire un rendimento più basso. Tuttavia, va considerato che il paese gode di rating nettamente superiori a quelli dell’Italia: “A+” per S&P, “A” per Fitch e “A1” per Moody’s. Le prime due agenzie hanno tagliato l’outlook tra marzo e aprile a “negativo”, a causa della crisi economica che ha colpito anche il Cile e per via dell’aumento del debito, seguito all’esplosione delle proteste nello scorso autunno.

I bond cileni in pesos

Nelle ultime settimane, i titoli di stato emessi in pesos, la valuta locale, hanno registrato significativi rialzi. Il rendimento a 10 anni è sceso al 2,64% dal 3,90% a cui si era portato a marzo, mentre quello a 2 anni si è schiantato allo 0,45% dal 2% di due mesi fa. In effetti, la banca centrale cilena ha varato una politica monetaria abbastanza aggressiva, avendo tagliato i tassi allo 0,50%, ben sotto il tasso d’inflazione del 3,7% a marzo, in più acquistando bond sovrani per 8 miliardi di dollari, pari al 3% del pil e a un terzo del bilancio dell’istituto.

In teoria, non un buon segnale per il cambio, che effettivamente quest’anno perde oltre il 10% contro il dollaro.

Tuttavia, per le emissioni in euro il cambio cileno non è un problema, né per quelle in dollari, dove semmai dovremmo fare i conti con il cambio americano. Quanto al livello delle riserve valutarie, a fine marzo si attestavano a 38 miliardi di dollari, in lieve risalita rispetto al mese precedente, pur sotto i livelli di fine 2019. Dunque, stiamo parlando di debito con basso rischio di credito, seppure poco appetibile per via dei rendimenti non esaltanti e inferiori ai livelli italiani. Spostandoci ai bond in pesos, il rischio di cambio rileva, ma per contro esistono buone probabilità di un suo apprezzamento nel caso in cui il prezzo del rame risalisse.

Ebbene, questo è sceso del 16% sui mercati internazionali quest’anno, impattando proprio sui pesos cileni, dato che quasi la metà delle esportazioni del paese andino è data da rame. E tra l’inizio del 2016 e l’inizio del 2018, mentre il rame si apprezzò di oltre un terzo, il cambio si rafforzò del 17%. Se quando l’economia mondiale si riprenderà dai “lockdown” di questa fase, il rame e le altre materie prime rincareranno, il cambio cileno ne dovrebbe uscire ancora una volta vincitore, fruttando guadagni in conto capitale a chi abbia investito nel debito sovrano in valuta locale del paese. Anche per questo si ha che i quinquennali in pesos rendano solo poco più di quelli in euro. Il mercato evidentemente sconta un cambio stabile.

Bond cileni tornati appetibili

[email protected]