Nuove tensioni in Cile, dove il ministro dell’Interno, Gonzalo Blumel, ieri parlava di 283 arresti tra i manifestanti che hanno ripreso l’assalto alla capitale Santiago, lanciando sassi e creando barricate per le strade. La situazione politica è divenuta tesa nel mese di ottobre, quando le proteste violente contro il rincaro dei biglietti della metro provocarono la morte di una ventina di persone, tra cui giovanissimi. Il ritorno dalle vacanze estive sta riportando a un clima di proteste anti-governative, il cui impatto rischia di acuire le vendite sui mercati di queste ultime settimane.

Il rendimento a 10 anni è salito sopra il 3,50%, avendo raggiunto un apice del 3,76% a febbraio, in crescita quest’anno di una quarantina di punti base. Quello a 2 anni non ha subito uno scossone minore, salendo dall’1,80% all’1,86%, avendo sfiorato il 2%.

Bond cileni tornati appetibili con il “floor” toccato sui mercati

Male anche il cambio, che contro il dollaro si è indebolito quest’anno del 7,5%. E non poteva essere altrimenti, dato il tracollo delle quotazioni del rame, principale “commodity” esportata dal Cile e che incide per quasi un quarto delle intere esportazioni. Il crollo è stato di oltre il 10%, legato all’andamento negativo dell’economia globale con lo stop alla produzione in ampie aree della Cina, a seguito del diffondersi del Coronavirus.

Il deprezzamento dei bond cileni può rappresentare un’occasione di acquisto, un po’ come lo fu nei mesi scorsi, quando dopo il tonfo si registrò il rimbalzo sia dei titoli che del tasso di cambio. Ma bisogna fare attenzione ai fondamentali. La banca centrale ha fissato i tassi all’1,75%, che a seguito del surriscaldamento dell’inflazione al 3%, risultano ormai ampiamente negativi in termini reali. Dunque, l’istituto non disporrebbe più di margini di manovra per sostenere l’economia in questa difficile congiuntura mondiale, né di conseguenza il mercato obbligazionario.

Quali prospettive a breve

Gli stessi rendimenti si mostrano di poco superiori al tasso d’inflazione per le medio-lunghe scadenze, poco allettanti tra gli investitori domestici, per non parlare del fatto che il cambio debole di questi mesi disincentivi il loro acquisto all’estero.

Anzi, il problema sta proprio nei pesos, che tornando ad arretrare rischiano di alimentare ulteriormente l’inflazione, costringendo la banca centrale ad alzare i tassi. In quel caso, il tonfo per i bond si procrastinerebbe.

Ad ogni modo, due gli eventi che avrebbero il potenziale di arrestare i cali di queste settimane: il referendum del 26 aprile, con cui verrà chiesto ai cileni se vogliono la riforma della Costituzione e se eventualmente essa debba essere riscritta da un’apposita assemblea; la ripresa delle quotazioni del rame, a sua volta dipendente con ogni probabilità dal cessato allarme globale per il Coronavirus. I tempi del secondo sono più che mai incerti e bisogna aggiungere che nemmeno l’eventuale via libera popolare alla riforma costituzionale sarebbe di per sé capace di fermare le proteste, anzi si rischiano mesi di ulteriori tensioni sui contenuti della riforma stessa.

Per fortuna, il debito pubblico cileno parte da livelli molto bassi, intorno al 25% del pil, per cui il governo di Santiago, in assenza di sostegno dal fronte monetario, può sostenere l’economia nel breve con una qualche manovra fiscale espansiva, tesa anche a placare gli animi di parte della popolazione. Tuttavia, questi interventi andrebbero nella direzione di accrescere l’offerta di bond in una fase in cui la domanda arretra, accentuando i cali dei prezzi, ergo l’aumento dei rendimenti.

Il debito cileno ha offerto guadagni a doppia cifra

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