La scorsa settimana, Saipem ha collocato presso gli investitori istituzionali un bond da 500 milioni di euro e con scadenza 31 marzo 2028, per cui della durata di 7 anni. Molto interessante la cedola, fissata al 3,125% e con prezzo di re-offer del 100%. Se considerate che il BTp di pari durata offra un rendimento di appena lo 0,26%, stiamo parlando di un tasso più remunerativo del titolo di stato per una dozzina di volte.

I proventi raccolti saranno destinati a scopi aziendali generali, un’espressione che generalmente lascia intendere la possibilità di un loro impiego anche per rimborsare anticipatamente il debito già contratto, compreso quello in forma di obbligazioni.

Gli ordini sono arrivati principalmente da Italia, Francia, Regno Unito e Germania. Grazie all’emissione, Saipem potrà sia migliorare la propria struttura finanziaria, sia allungare la vita media del suo debito.

A questo punto, vi chiederete come mai il colosso italiano attivo nelle prestazioni a favore del comparto petrolifero sia stato così generoso. Chiaramente, è dipeso dai rating: BB+ per S&P, Ba2 per Moody’s. In sostanza, la società è giudicata un emittente “non investment grade” e il suo debito risulta teoricamente molto rischioso. I giudizi risentono dell’esposizione del business all’andamento del mercato energetico, così duramente colpito nel corso del 2020, quando le quotazioni del petrolio sprofondarono fino ai minimi da fine anni Novanta.

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Saipem è davvero così rischiosa?

Detto ciò, i dati finanziari di Saipem non sembrano così preoccupanti. Al 31 dicembre 2020, il suo indebitamento finanziario ammontava a 872 milioni, a fronte di liquidità disponibile per 2 miliardi e di ricavi per 7,3 miliardi, in caduta dai 9 del 2019. La società ha registrato nel 2020 una perdita netta di 1,136 miliardi, che si confronta con l’utile di 12 milioni dell’esercizio precedente. Per contro, vanta ordini per 25 miliardi, di cui un terzo acquisiti nel corso del 2020, a cui si è aggiunta nei giorni scorsi una commessa dal Qatar per oltre 1 miliardo di dollari.

Se è vero che il rating non ci rassicurerebbe troppo circa il rischio che ci assumeremmo investendo nei bond Saipem, d’altra parte dobbiamo anche scontare un miglioramento attendibile del business con la veloce e forte ripresa delle quotazioni petrolifere, pur perlopiù grazie al taglio dell’offerta di greggio da parte dell’OPEC Plus. Certo, gli investimenti rimarranno verosimilmente bassi nel comparto ancora per diverso tempo, fino a quando le compagnie non avranno contezza del ritorno dell’economia globale ai ritmi produttivi pre-Covid. E Saipem vive di commesse legate proprio agli investimenti petroliferi.

Tirando le somme, Saipem ci offre un tasso del 3,125% per un investimento di appena 7 anni. Altra cosa che dovete sapere è che la società risulta partecipata dallo stato per circa il 44%, attraverso ENI, CDP e Banca d’Italia. Questo significa che si tratta di un asset semi-pubblico, che quasi certamente lo stato non lascerebbe fallire nel caso in cui le condizioni finanziarie si mettessero davvero male. In gioco ci sarebbe la reputazione del sistema Paese e la sopravvivenza di un asset nazionale strategico per la stessa denominazione che ne dà dal 2012 la legge sulla “golden power”, quella che consente al governo italiano di fermare una qualche scalata dall’estero per rilevare il controllo di aziende domestiche attive in comparti sensibili. Insomma, cedola più che remunerativa del rischio reale che si correrebbe comprando il bond.

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