Perdite stimate in poco meno di 10 miliardi di dollari al giorno. E sono già passati quattro giorni da quando il Canale di Suez è rimasto bloccato a causa di una nave incagliatasi per via di una bufera di vento e sabbia. La Ever Given di Evergreen Marine Corp, la compagnia taiwanese battente bandiera del Panama, è lunga 400 metri, larga 59 e pesa assieme al suo carico ben 200 mila tonnellate. Escavatori e rimorchiatori stanno lavorando sin da martedì mattina per cercare di girarla, ma tra condizioni meteo avverse e stazza del cargo, potrebbero essere necessarie “settimane” prima di riuscire nell’intento.

Secondo alcune indiscrezioni, nel migliore dei casi non si riuscirebbe a riaprire lo stretto prima di mercoledì prossimo.

Lo scenario più temuto è quello dello scarico dei 50 container. Richiederebbe non solo tempo, ma anche uno sforzo immane con l’impiego di numerosi elicotteri. Si arriverebbe a un blocco di due settimane. A giovarsene sono le compagnie di trasporto, che stanno aumentando i prezzi caricati sulle società speditrici. In pochissimi giorni, il costo per trasportare greggio è praticamente raddoppiato. Farlo transitare dalla Russia al porto di Augusta, in Sicilia, richiedeva giovedì 1,61 dollari al barile contro i circa 80 centesimi di inizio settimana. Il trasporto dalla Russia al sud della Francia, invece, è salito da meno di 1,50 a 2,58 dollari.

Non stiamo parlando di un impatto sensibile, ma il vero problema saranno i tempi di attesa. Le navi in sosta da una parte all’altra del Canale di Suez sono centinaia e alcune petroliere hanno iniziato a circumnavigare l’Africa, attraverso il Capo di Buona Speranza. Un viaggio notevolmente più lungo per raggiungere il Mediterraneo, ma che si presenta necessario per evitare il rischio di rimanere bloccati giorni o settimane nel Mar Rosso.

Canale di Suez bloccato, si è incagliata una nave container e le merci non possono circolare

L’impatto sul petrolio

Le stime parlano di ritardi su un 1 milione di barili di greggio per le consegne all’Europa, nel caso in cui il blocco durasse una settimana.

Nel caso più estremo di un mese, sarebbero 2 milioni i barili che non arriverebbero al Vecchio Continente. Per fortuna, siamo in bassa stagione e i “lockdown” stanno tenendo bassa la domanda anche nei giorni a ridosso di Pasqua, per cui non dovremmo percepire alcuna carenza di greggio, né un aumento dei prezzi sostenuto. Anzi, si consideri che dai 70 dollari al barile toccati due venerdì fa si è scesi ai 63 di ieri per il Brent, un -10% che ci rassicura sulle conseguenze non immediate di questo blocco.

Dicevamo, perdite per quasi 10 miliardi di dollari al giorno. Queste sono le cifre che emergono dal transito quotidiano delle merci nel Canale di Suez, di cui 5,4 miliardi per esportare verso l’Occidente e 4,5 miliardi verso l’Oriente. A conti fatti, se davvero non ci sarà alcuna riapertura prima di mercoledì prossimo, i danni ammonterebbero nell’ordine dei 75 miliardi. Se davvero dovessimo aspettare due settimane, s’impennerebbero sopra i 130 miliardi. Non che questo stia dissuadendo la domanda. Due grossi esportatori sudcoreani, cioè Korea Shipbuilding & Offshore Engineering Co. e Samsung Heavy Industries Co., hanno dichiarato ieri di avere ricevuto in settimana ordini per 3.500 miliardi di won, pari a circa 2,5 miliardi di euro. Le merci saranno spedite attraverso 25 cargo, tutte più lunghe della Tour Eiffel.

Dal Canale di Suez transita annualmente il 12% delle merci nel mondo, qualcosa come 1,17 miliardi di tonnellate nel 2020. Quasi interamente è navigabile in un’unica direzione, per cui solo dopo il passaggio di una nave da nord a sud o da sud a nord è possibile farne passare un’altra. Le acque poco profonde hanno aggravato il problema, tant’è che si attende l’alta marea per oggi e domani, pur non sufficiente a far girare la nave, come si era sperato e ipotizzato fino al primo pomeriggio di giovedì.

Perché il petrolio ha perso il 10% in una settimana

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