Chi si aspettava novità eclatanti dall’ultimo Dpcm del governo è rimasto parzialmente deluso. Il premier Giuseppe Conte, in conferenza stampa, domenica sera non ha annunciato novità di rilievo, semmai ha avvertito che le restrizioni future dipenderanno dai nostri comportamenti. Il vero spunto offerto sul piano giornalistico è stato, invero, un altro. Egli avrebbe chiuso definitivamente al MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) quando ha sostenuto che sarebbe un prestito “costoso” per l’Italia e richiederebbe “il taglio della spesa pubblica o l’aumento delle tasse”.

Parole che avranno rassicurato il Movimento 5 Stelle, mandando su tutte le furie gli alleati del PD.

Ieri, lo spread BTp-Bund a 10 anni è salito di circa 5 punti base, attestandosi fino a un massimo di 132. Il rendimento decennale italiano è arrivato allo 0,72%, scendendo nel prosieguo della seduta a poco meno dello 0,70%. Ad essere sinceri è stata una giornata fiacca anche in borsa, ma le parole del premier qualche effetto negativo sui BTp lo avrebbero avuto.

Il MES ha messo a disposizione degli stati dell’Eurozona un fondo fino al 2% del loro pil per affrontare l’emergenza Covid. I prestiti verranno erogati senza condizioni, tranne quella che siano utilizzati per voci di spesa “direttamente o indirettamente” legate alla sanità. All’Italia spetterebbero circa 36 miliardi, soldi che prenderemmo in prestito a un tasso d’interesse sostanzialmente nullo per diversi anni. Per Conte, però, abbiamo già speso per la sanità e, dunque, non vi sarebbe nemmeno più la necessità di fare ricorso al MES.

Perché la seconda ondata dei contagi fa bene ai BTp e restringe lo spread

MES come polizza per i BTp

Il dibattito è diventato squisitamente politico con effetti sui mercati finanziari. I sostenitori del fondo vorrebbero che l’Italia lo attivassero per segnalare il suo pieno inserimento nelle dinamiche europee. I detrattori ritengono che si tratti di un cavallo di Troia per fare arrivare la Troika in Italia; nella migliore delle analisi, una sorta di “inchino” ai commissari per confermare la nostra “fedeltà” all’Europa.

Nessuno stato ha sinora richiesto il MES, vuoi perché hanno costi di emissione mediamente prossimi allo zero, vuoi anche per il timore che le condizioni sospese ufficiosamente vengano ripristinate dopo le erogazioni su richiesta di uno o più partner creditori.

Comunque la si pensi, il varo del MES ha contribuito sin dalla scorsa primavera a rasserenare i mercati. Gli investitori sono diventati consapevoli, infatti, che gli stati posseggano uno strumento per reagire alla crisi sanitaria. In un certo senso, il MES è stato percepito come una polizza di assicurazione a copertura dei titoli di stato più a rischio, tra cui i BTp. Privarsene in maniera esplicita potrebbe comportare qualche costo. La fiducia sin qui accordataci dalla finanza rischia di venire meno, anche perché il “no” al fondo verrebbe considerato un rigurgito della mentalità euro-scettica piuttosto diffusa in Italia. Inoltre, acuirebbe le tensioni nella maggioranza e indebolirebbe ulteriormente il governo.

Il tema non sembra essere stato archiviato una volta per tutte. Nelle prossime settimane, se non giorni, registreremo le prese di posizioni pro e contro il ricorso al MES da parte di vari esponenti che sorreggono l’esecutivo e chissà che presso le case d’investimento qualcuno non voglia testare la resilienza dei BTp alle fibrillazioni. Da sola la questione non può scatenare un “sell-off” temibile più di tanto, grazie all’anestetizzazione dei mercati ad opera della BCE. Qualche colpo, però, gli investitori potrebbero batterlo lo stesso.

Ricorso al MES conveniente o il miglioramento dei BTp induce alla prudenza?

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