La notizia delle notizie è stata ieri quella della curva dei tassi in Germania scesa interamente in territorio negativo. Anche il Bund a 30 anni è arrivato a offrire meno di zero, così non esiste più alcun titolo di stato tedesco remunerativo alla scadenza. Qualche seduta prima era toccato alla Svizzera esibire una curva anch’essa interamente negativa, con il bond a 50 anni a rendere, addirittura, il -0,17%. E così vale da ancora prima per la Danimarca, altra economia europea molto legata all’Eurozona e che non può permettersi di alzare i tassi per non fare saltare il “peg” tra la corona e l’euro.

Le poste del Giappone daranno una mano ai BTp per disperazione?

Paradossalmente, il Giappone è finito per diventare un porto appetibile per i suoi rendimenti, negativi “solamente” fino alla scadenza dei 10 anni. Il titolo più longevo emesso da Tokyo, ossia il quarantennale, offre lo 0,37%, che di questi tempi per un emittente sovrano molto solido sembra oro colato. E dire che i rendimenti “glaciali” di questo periodo li tacciamo di essere un’eredità della “giapponesizzazione” del mercato, come dire che gli allevi hanno superato alla grande il maestro.

Non è solo il Giappone ad allettare le tasche degli investitori. La curva dei tassi sta collassando anche in Australia, economia molto integrata con la Cina, verso cui vende il 35% delle sue esportazioni complessive, qualcosa pari al 6,5% del suo pil. Se Pechino rallenta ed è oggetto di ritorsioni commerciali da parte degli USA, Canberra ne risente direttamente, segnando anch’essa il passo, specie considerando che non ha subito una sola recessione dal lontano 1991. Il bond a 10 anni australiano rende l’1,07-8%, il minimo di sempre. Aveva aperto il 2019 al 2,23%. Il trentennale si mostra ancora relativamente molto generoso con il suo 1,76%, anch’esso in flessione netta dal 2,74% di inizio anno.

Australia e Corea del Sud strettamente legate alla Cina

La Reserve Bank of Australia ha aperto le danze a giugno sui tagli dei tassi ed è qui che bisogna guardare con interesse sul fronte obbligazionario, perché parliamo di un’economia che gode del massimo rating da parte delle agenzie di valutazione, con rendimenti ancora elevati rispetto ai livelli del resto del mondo avanzato, anche se quest’anno il dollaro australiano ha perso quasi il 5% contro quello americano.

L’Australia apre le danze sul taglio dei tassi, seguiranno America ed Europa

Ma anche la Corea del Sud si mostra abbastanza interessante. Le sue esportazioni verso la vicina Cina ammontano a un quarto del totale, pari al 10% del suo pil. Seul non ha nemmeno un bond sovrano a rendere sottozero e il suo decennale offre l’1,35%, giù da quasi il 2% di inizio anno, qualcosa in più rispetto all’1,32-33% del bond più lungo, quello con scadenza a 50 anni, il quale cede anch’esso sui 65 punti base nel corso del 2019. Anche il won, però, si è indebolito nei confronti del dollaro quest’anno, per l’esattezza di oltre il 7%.

Corea del Sud, Giappone e Australia potremmo considerarlo un triangolo stuzzicante per gli investitori obbligazionari. Se e quando la BCE passerà dalle parole ai fatti e varerà nuovi stimoli monetari, l’euro si deprezzerà o almeno si manterrà stabili contro queste valute, le quali anch’esse risentiranno di un maggiore accomodamento monetario da parte delle rispettive banche centrali, teso a contenere gli effetti negativi delle tensioni commerciali tra USA e Cina. E la stabilità dei cambi sarebbe un tonificante per sbirciare tra i loro bond, a caccia di rendimento tra titoli qualitativamente elevati.

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