Sono fino a 14 le società con rating “junk” o “spazzatura” nel mondo ad avere registrato nelle ultime settimane rendimenti negativi per almeno una delle obbligazioni emesse. Un controsenso apparentemente ingiustificabile, dato che per definizione trattasi di bond “high yield”, vale a dire ad alto rendimento per via dei rischi presentati. Capita anche questo in un sistema finanziario internazionale, in cui i mercati avanzati offrono ormai rendimenti zero o persino negativi per la gran parte del debito emesso e fino a scadenze lunghissime (oltre 20 anni in Germania e i 50 anni in Svizzera).

Per questo, la Cina starebbe iniziando a destare l’interesse degli investitori. Le sue obbligazioni di stato e corporate non hanno ad oggi partecipato al rally globale, per quanto abbiano sfoggiato anch’esse qualche risultato positivo. I decennali emessi da Pechino offrono oggi il 3,20%, -24 punti base in 3 mesi; i biennali il 2,80%, -15 bp nello stesso arco temporale. Cali non marcati, anche se le quotazioni delle obbligazioni corporate hanno segnato quest’anno un più robusto +4%.

Il limite ai guadagni è dettato non solo e nemmeno più tanto dalla scarsa internazionalizzazione dei mercati finanziari cinesi, quanto dai timori degli investitori per le tensioni commerciali con gli USA e le possibili conseguenze negative sui tassi di cambio. Lo yuan quest’anno ha si è mantenuto sostanzialmente stabile contro il dollaro, ma da inizio 2014 ha smesso di rafforzarsi, cedendo da allora oltre il 12%. In più, poco sappiamo su come la Banca Popolare Cinese muova giornalmente i tassi di cambio, per cui i capitali restano alla finestra anche quando potrebbero approfittarne.

Le obbligazioni “spazzatura” in Cina tagliano i “call premium”, buon segno per gli emittenti

Obbligazioni “junk” cinesi allettanti

E’ il caso di Kaisa Group Holdings, una società attiva nel comparto immobiliare, che nel 2015 si rese responsabile di un default su obbligazioni in dollari. E proprio queste ha riesumato qualche giorno fa, vendendone per 300 milioni su una scadenza a 4 anni e offrendo una cedola fissa annua del 10,875% (ISIN: XS2030334192), esitando un rendimento dell’11%.

Trattasi di un bond “junk”, che presenta certamente rischi di credito significativi, data anche la storia recente. Ma non è questo per caso il profilo delle società “high yield”, i cui rendimenti obbligazionari sono scesi in area negativa? Si consideri, poi, che parliamo di un titolo a rischio di cambio zero, almeno per gli investitori americani e, comunque, contenuto per tutti gli altri, data la forza del biglietto verde.

A conti fatti, se lo spread Treasury-Bund a 4 anni ci offre una misura attendibile dell’andamento del cambio euro-dollaro tra 4 anni, deduciamo che il bond di cui sopra ci renderebbe pur sempre oltre l’8% all’anno da qui alla scadenza, una percentuale tripla rispetto ai rendimenti medi dei bond “junk” in euro e nettamente superiore al 5,80% medio di quelli in dollari. A meno che le tensioni non rimangano, la Cina starebbe diventando un po’ troppo allettante per starne fuori. Paradossalmente, questo converrebbe allo stesso presidente Donald Trump, perché se i capitali affluissero copiosi in Cina, lo yuan si rafforzerebbe e i maggiori investimenti che essi andrebbero a finanziare si tradurrebbero in un aumento degli investimenti, alias consumi interni, cioè anche delle importazioni.

Quello di Kaisa non è un caso isolato. Le obbligazioni Evergrande con scadenza giugno 2023 e cedola 7,50% (ISIN: XS1627599498) offrono al momento anch’esse la doppia cifra, qualcosa di più del 10%. La nota positiva di questi titoli teoricamente rischiosi emessi da società immobiliari cinesi è che mediamente sono corti, arrivando a scadenza per 50 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2021, quasi la metà dei 114 miliardi totali. E la bassa duration espone a rischi contenuti nel caso in cui li si volesse rivendere prima della scadenza.

La repressione finanziaria spinge già a guardare ai paesi emergenti, fate attenzione

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