Non c’è verso di spuntare rendimenti anche solo in linea con la pur bassa inflazione nell’Eurozona, a meno di non volersi assumere rischi maggiori, puntando su mercati come Italia e Grecia, gli unici a offrire ancora soddisfazioni, con il BTp a 10 anni all’1,65% e il trentennale in area 2,55%. E se anche la Francia è entrata a far parte del “Club Zero”, cioè dei paesi con rendimenti decennali negativi, insieme a Germania, Olanda e Austria, l’Italia garantisce rendimenti sopra lo zero già dai 2 anni insù, al peggio dai 3 anni.

La curva tedesca, invece, è negativa fino ai 20 anni, per cui l’85% dei Bund offre ormai rendimenti negativi. Siamo in repressione finanziaria, fenomeno noto già negli anni Settanta-inizio Ottanta, ma con una differenza: allora i rendimenti erano negativi perlopiù solo in termini reali, adesso lo sono persino quelli nominali.

La folle repressione finanziaria spiegata con la crisi dell’euro

Quando un investitore non trova modo di ottenere una qualche remunerazione sul mercato a reddito fisso, come dicevamo ha come principale opzione di spostarsi sui bond più rischiosi, nonché di allungare le scadenze. E sta accadendo che tra i paesi emergenti si stia fiutando l’occasione di un decennio fa, quando il collasso dei rendimenti permise loro di emettere debito in valuta estera a costi contenuti, ma pur sempre superiori a quelli sostenuti da Europa, America e Giappone, attirando da questi capitali.

L’Arabia Saudita ha appena concluso un accordo e ha collocato obbligazioni sovrane in euro per 3 miliardi, di cui una tranche a 8 anni e una a 20 anni. La prima ha offerto una cedola dello 0,75%, la seconda del 2%. Sulla base dei prezzi esitati, il rendimento è stato rispettivamente dello 0,782% e del 2,042%. Ora, certamente Riad è un’economia emergente di livello, abbastanza ricca grazie al petrolio, nonché solida finanziariamente. Ma che stia riuscendo a indebitarsi sui mercati esteri a costi nettamente più bassi dell’1% per emissioni a lunga scadenza è indicativo di questa fase.

La fame di rendimento spinge gli investitori a rivolgersi fuori dai mercati avanzati, adocchiando le occasioni in valute forti, cioè prive del rischio di cambio.

I rischi delle emissioni emergenti in valute forti

Fino a quando parliamo dell’Arabia Saudita, i rischi sovrani appaiono molto contenuti. Ma anche un’economia praticamente distrutta dalla guerra e senza alcuna credibilità come l’Ucraina ha programmato un’emissione in euro. E a questo punto, basterà offrire quello che solo apparentemente sarà percepito come un congruo premio al rischio per attirare capitali dall’Eurozona. Sì, perché se il “benchmark” è il Bund, la comparazione diventa fin troppo vantaggiosa per gli emittenti. Il decennale tedesco si aggira al -0,4%, per cui già un rendimento positivo di qualche punto strappa più di un sorriso agli investitori.

L’Ucraina ha già emesso bond in euro e attualmente quello con scadenza settembre 2020, cedola 7,75%, offre un rendimento di appena il 5,15-20%. Sembra tanto, ma per un’economia praticamente collassata con lo smembramento della Crimea, parliamo di noccioline. E, in effetti, a inizio anno offriva il doppio di oggi. Da allora, ha beneficiato semplicemente del rally obbligazionario sui mercati avanzati. E per lo stesso motivo, anche la vicina Turchia sta indebitandosi in euro, confortata dall’apparente tregua sui mercati valutari per la lira. Al momento, il suo decennale (gennaio 2030) in euro rende il 6,3%, molto meno del 10% a cui era schizzato nell’agosto scorso, quando infuriava la tempesta valutaria ai danni di Ankara e Buenos Aires.

Come reagire al crollo dei rendimenti per costruirsi un portafoglio remunerativo

Ricordatevi: quando i tassi sono troppo bassi, i debitori sono felici nel momento in cui raccolgono i capitali, ma non è detto che continueranno a sorridere quando si tratterà di rimborsare le scadenze, se per allora i tassi di cambio si saranno evoluti negativamente per loro, o meglio, più negativamente di quanto scontato all’atto delle emissioni.

E negli anni Ottanta, non andò a finire bene quando i tassi globali salirono, rendendosi necessari numerosi interventi del Fondo Monetario Internazionale in favore di altrettante economie sudamericane (dal Messico in poi) e non solo, onde evitare che a pagare il conto fossero le banche dei paesi avanzati. Rispetto ad allora, se vogliamo, stiamo molto, molto peggio, sebbene le riserve valutarie emergenti siano notevolmente rafforzatesi nell’ultimo ventennio.

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