Meno del 60% degli obbligazionisti ha aderito all’offerta di scambio avanzata nelle settimane scorsa dalla compagnia petrolifera YPF su obbligazioni per 6,2 miliardi di dollari. I titoli portati in adesione valgono 2 miliardi e sono stati scambiati con tre nuove obbligazioni, garantite dalle riserve aziendali e dalla quota del 50% detenuta in YPF Luz:

  1. il bond senior secured 2026 da 775 milioni con cedola al 4% fino al 31 dicembre 2022 e al 9% successivamente. Ammortamento del capitale su base trimestrale a partire dal 2023;
  2. il bond senior secured 2029 da 748 milioni con cedola 2,5% fino al 31 dicembre 2022 e 9% successivamente.
    Ammortamento del capitale su base semestrale a partire dal 2026;
  3. il bond senior secured 2033 da 576 milioni con cedola 1,5% fino al 31 dicembre 2022 e 7% successivamente. Ammortamento del capitale su base annuale a partire dal 2029.

L’agenzia di rating Fitch stima in 105 milioni all’anno i risparmi per YPF sul fronte della spesa per interessi per i primi due anni. Dal 2023, tuttavia, la spesa per interessi a carico della società argentina aumenterà di 50 milioni rispetto allo scenario precedente alla ristrutturazione. Inoltre, da qui al 2023 la spesa per interessi ammonterà a 700 milioni di dollari l’anno in media.

Nuova offerta della compagnia argentina YPF per la ristrutturazione dei suoi bond in dollari

Le condizioni finanziarie di YPF restano critiche

Tenuto conto anche del minore capitale da rimborsare, nel biennio 2021-2022 YPF affronterà scadenze per 630 milioni in meno, non un vero e proprio sollievo sul piano finanziario. La compagnia dovrà, infatti, spendere quest’anno 2,7 miliardi per solo mantenere inalterata la produzione di greggio, in calo nei precedenti quattro anni. Per potersi permettere tali investimenti, necessiterà con ogni probabilità di tagliare ulteriormente i costi aziendali, di emettere un nuovo bond da 400 milioni di dollari e di alzare del 5% i prezzi sui clienti domestici.

Il problema circa l’ultimo punto riguarda l’imposizione di prezzi calmierati da parte dello stato, che nei fatti sussidia le famiglie sui prodotti energetici.

Dunque, YPF non riuscirà ad approfittare del rally petrolifero, avendo le mani legate sulla fissazione delle tariffe praticate. Ma senza tali aumenti, viene meno la possibilità di investire i suddetti 2,7 miliardi, senza i quali la produzione rischia di continuare a contrarsi. E ciò avrebbe un impatto negativo sui ricavi, rendendo ancora più rischioso il debito a medio-lungo termine della società.

I mali storici dell’Argentina non sono stati affatto affrontati con le ristrutturazioni degli ultimi mesi di stato e compagnia petrolifera. La scarsa libertà di mercato continua a pesare sulla performance del sistema-Paese. Secondo l’Indice di Libertà Economica di Heritage, nel 2020 Buenos Aires figurava in posizione 149, praticamente in fondo alla classifica mondiale. A gravare su YPF vi è stata la bassa adesione degli obbligazionisti, che era auspicata su percentuali ben maggiori. Di fatto, meno di un terzo del capitale è stato soggetto a ristrutturazione, sgravando di poco i pagamenti nel medio-breve termine. Difficile, poi, che con un’inflazione che viaggia verso il 40% il governo di Alberto Fernandez consenta alla sua controllata di alzare i prezzi, specie in una congiuntura già di per sé difficile per l’economia mondiale e per quella argentina, in particolare.

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