Nuove tasse in arrivo in un’economia stremata dalla crisi. Il presidente Alberto Fernandez ha minacciato espressamente gli agricoltori che aumenterà loro i dazi sulle esportazioni o introdurrà quote per limitarle. L’avvertimento è arrivato dopo che la banca centrale di Buenos Aires ha stimato lo scorso venerdì un tasso d’inflazione al 50% per quest’anno, stando a un sondaggio condotto tra gli analisti. A dicembre, la crescita tendenziale dei prezzi era scesa al 36,1%.

Il caro-vita è trainato dal crollo del cambio.

Per un dollaro servono ormai quasi 88 pesos, il 30% in più di un anno fa. Sul mercato nero è molto peggio: si arriva a 150. In effetti, la banca centrale sta sostenendo il cambio, ma inevitabilmente dovendo intaccare le riserve valutarie, scese a fine 2020 a 33,9 miliardi di dollari, 5 in meno da inizio anno. Nelle intenzioni di Fernandez, il contingentamento o il disincentivo alle esportazioni determinerà una maggiore offerta di beni primari sul mercato domestico, tenendo l’inflazione sotto controllo.

La precedente amministrazione di Mauricio Macri aveva cercato di smantellare tali pratiche, al fine di creare un clima più “business friendly” per attirare gli investimenti stranieri. Inutile dire che con il ritorno dei peronisti al governo, la musica sia cambiata prima di subito. Nelle scorse settimane, il Congresso ha approvato un’imposta patrimoniale, che si applica sulle ricchezze superiori ai 200 milioni di pesos (meno di 2 milioni di euro al cambio ufficiali) con aliquota pari al 3% per i possedimenti in patria e sopra il 5% per quelli all’estero. La stangata punta a raccogliere 3 miliardi di dollari tra 12.000 contribuenti più facoltosi, da destinare alla lotta al Covid.

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Più tasse e meno mercato

Parallelamente all’aumento della pressione fiscale, di riforme economiche neppure l’ombra. Il tentativo del ministro Martin Guzman di tagliare il deficit nel medio-lungo periodo è stato prontamente stoppato dalla vice-presidente e già capo dello stato Cristina Fernandez de Kirchner, la cui influenza nella maggioranza di centro-sinistra è fortissima.

In effetti, il presidente Fernandez ha annunciato anche che per fine mese Guzman si recherà a Washington per trattare con il Fondo Monetario Internazionale la revisione degli accordi siglati tre anni fa dal precedente governo e sulla base dei quali il paese ha ottenuto 44 miliardi di dollari su una somma stanziata per 57 miliardi, mai così alta nella storia dell’istituto per un singolo stato e con un unico prestito.

L’economia argentina è collassata con il Covid, segnando un PIL in crollo dell’11% nel 2020 e un tasso di povertà sopra il 40%. In tre anni di recessione, si è contratta del 15%. I mercati non stanno mostrando alcuna fiducia verso l’amministrazione Fernandez, tant’è che i titoli oggetto della ristrutturazione dell’estate scorsa continuano a sostare su quotazioni assai basse, intorno ai 35 centesimi, nettamente sotto i livelli attesi dagli analisti, che sarebbero nei pressi dei 60 centesimi. In sostanza, viene scontato un nuovo possibile default in arrivo. Sarebbe il decimo nella storia argentina, il quarto di questo travagliatissimo nuovo millennio.

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