La compagnia petrolifera argentina YPF ha dovuto modificare nel senso migliorativo le condizioni fissate per la ristrutturazione delle sue obbligazioni in dollari, al fine di cercare di ottenere l’approvazione di almeno la maggioranza assoluta dei creditori di ciascuna emissione. I titoli oggetto della rinegoziazione sono i seguenti:

  • 23 marzo 2021 e cedola 8,50% (ISIN: USP989MJBG51);
  • 4 aprile 2024 e cedola 8,75% (ISIN: USP989MJAY76);
  • 23 marzo 2025 e cedola 8,50% (ISIN: USP989MJBQ34);
  • 28 luglio 2025 e cedola 8,50% (ISIN: USP989MJBQ34);
  • 21 luglio 2027 e cedola 6,95% (ISIN: USP989MJBL47);
  • 27 giugno 2029 e cedola 8,50% (ISIN: USP989MJBP50);
  • 15 dicembre 2047 e cedola 7% (ISIN: USP989MJBN03).

 

L’operazione consiste in uno “swap” obbligazionario, che vedrebbe l’emissione di tre nuovi bond al posto di quelli sopra indicati e con scadenze negli anni 2026, 2029 e 2033.

Il termine per aderire è stato prorogato di un giorno al 5 febbraio prossimo e riguarda anche coloro che già avevano portato le obbligazioni in adesione. Le garanzie a favore della nuova obbligazione con scadenza 2026 sono state rafforzate, offrendo ai creditori un pegno di primo grado sulle azioni della controllata YPF Luz.

Quanto alle cedole, sono state fissate al 4% per il 2026, al 2,5% per il 2029 e all’1,5% per il 2033. A partire dal 2023, le cedole salirebbero ulteriormente dall’8,5% al 9% per il bond 2026 e l’ammortamento delle obbligazioni 2026 e 2029 è stato modificato in modo da accorciarne la durata media.

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Il problema resta l’Argentina

Con questa riproposizione dell’offerta, YPF spera di raccogliere le adesioni di almeno la metà più uno del capitale su ciascuna scadenza. La mancata presentazione degli obbligazionisti dei titoli da portare in adesione entro il termine fissato per l’offerta equivarrà a un voto contrario. Nelle ultime settimane, tutti i titoli coinvolti dalla proposta di ristrutturazione hanno accusato forti cali, finanche di oltre il 25% per la scadenza più longeva del 2047.

Nelle ultimissime sedute, però, si registra una generale inversione di tendenza, vuoi perché i prezzi erano precipitati a livelli molto allettanti, vuoi anche per il sentore di una proposta migliorativa delle condizioni offerte.

Il bond che scade nel marzo 2023 era stato già oggetto di uno “swap” nel 2020 e le adesioni in quel caso raggiunsero il 60% del capitale. Il problema è sorto a inizio mese, quando YPF ottenne il diniego della banca centrale ad accedere alla valuta americana per ottemperare alle scadenze più imminenti. Le riserve valutarie dell’istituto sono in calo, anche perché il cambio è tenuto artificiosamente alto di quasi il doppio rispetto ai livelli di mercato contro il dollaro. Peraltro, la compagnia si attende minori flussi in entrata da qui ai prossimi anni. Le obbligazioni di nuova emissione verrebbero, poi, legate alle esportazioni.

YPF risulta controllata dallo stato, per cui siamo dinnanzi a un ennesimo default semi-sovrano, a distanza da quello sovrano vero e proprio dell’estate scorsa, il nono nella storia dell’Argentina. I mercati finanziari rimangono scettici circa le capacità di ripresa delle finanze statali, a causa dell’assenza di qualsivoglia riforma necessaria per migliorarle. Il ministro dell’Economia, Martin Guzman, sembra isolato nelle sue intenzioni di tagliare i sussidi e di ridurre il deficit. Come previsto, sta prendendo il sopravvento la posizione di Cristina Fernandez de Kirchner, già presidente della Repubblica tra il 2007 e il 2015 e oggi a capo del Senato, notoriamente ostile ai mercati e alle riforme.

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