Egitto e Turchia sono stati nel 2019 le due mete emergenti più in voga sui mercati per i capitali. Alti rendimenti, inflazione calante, miglioramento dell’outlook economico e stabilizzazione delle condizioni finanziarie hanno contribuito a ridurre in misura considerevole i rendimenti sovrani di entrambi i paesi. Ma quando sono passate poche settimane dall’inizio del 2020, ci sentiamo di dire che le prospettive per Il Cairo appaiono adesso di gran lunga migliori di quelle di Ankara, almeno sul mercato obbligazionario. Vero, la curva delle scadenze egiziana sembra avere perso un po’ di smalto quest’anno, con i rendimenti a 2 e 10 anni ad essere saliti entrambi di una trentina di punti base, rispettivamente al 14,55% e 13,98%, livelli nettamente superiori a quelli turchi dell’11,12% e 11,38%.

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Ma il cambio ha più che compensato le limature dei prezzi in Egitto, con la lira ad avere guadagnato poco meno del 5% quest’anno contro il dollaro, mentre quella turca ha perso l’1,3%, portandosi ai livelli più deboli dal maggio scorso. E se l’inflazione in Turchia ha accelerato a gennaio fin sopra il 12%, in Egitto si è stabilizzata poco sopra il 7%. Con un’altra notevole differenza: i tassi d’interesse sono stati tagliati da Ankara all’11,25%, cioè a circa 100 punti base in meno del tasso d’inflazione, mentre Il Cairo li tiene ancora a 500 punti base sopra, al 12,25%.

La politica monetaria egiziana molto più restrittiva determina quanto segue: rafforzamento del tasso di cambio, raffreddamento delle aspettative d’inflazione sui mercati per il prossimo futuro e ingresso dei capitali esteri in cerca di rendimenti elevati di obbligazioni presumibilmente destinate ad apprezzarsi. Già, prima o poi la banca centrale egiziana dovrà continuare a tagliare i tassi, man mano che l’inflazione resterà contenuta, perché oggigiorno un margine reale del 5% è introvabile altrove. E la riduzione del costo del denaro non potrà che fare bene al comparto obbligazionario, i cui prezzi saliranno e i rendimenti scenderanno, il tutto amplificato per gli investitori stranieri verosimilmente da un ulteriore rafforzamento del cambio.

Emissioni più lunghe

E’ vero che i conti pubblici egiziani restino nettamente peggiori di quelli turchi. Il debito pubblico supera il 90% del pil e il deficit-obiettivo per l’anno fiscale prossimo sarebbe superiore al 6%. Ma anche qui troviamo una buona notizia: l’alta crescita sostiene il sentiment sui mercati e le emissioni sovrane domestiche nei primi sei mesi dell’anno fiscale in corso (luglio-dicembre 2019) hanno superato il 70% del totale fissato dal governo: 513 miliardi di lire su emissioni complessive per circa 725 miliardi. Ciò significa che nei primi sei mesi di quest’anno, il Tesoro dovrà reperire solamente altri 12 miliardi di dollari, poco più del 4% del pil, peraltro in una fase caratterizzata da elevata liquidità sui mercati.

Non solo. Sempre nel primo semestre, l’Egitto ha emesso il 31% in più di titoli a medio-lunga scadenza (422,6 miliardi) e il 34% in meno di titoli con scadenze fino all’anno (90,4 miliardi), segno che stia cercando di consolidare il debito pubblico, esponendosi meno alla volatilità dei mercati nel breve termine. Gli investitori non potranno che apprezzare. In definitiva, la curva egiziana, con rendimenti medi superiori al 14%, appare fin troppo generosa. E a differenza della Turchia, l’Egitto suscita molto meno allarme sul fronte geopolitico, restando saldamente ancorato alle alleanze occidentali e fungendo da paciere nella regione.

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