L’Argentina è riduce da un’ennesima operazione di ristrutturazione del debito sovrano, che le ha consentito di risparmiare 38 miliardi di dollari tra interessi e capitale. Eppure, i bond in dollari emessi poche settimane fa in luogo dei precedenti ristrutturati sono crollati anch’essi sui mercati, segno che gli investitori non si fidino del nuovo corso di Buenos Aires e scontino una prossima crisi del debito. Al contrario, in queste settimane è corsa all’acquisto di cosiddetti bond “dollar-linked”. Due sono state in ottobre le emissioni di questo tipo.

La prima per 1,8 miliardi di dollari a inizio mese e la seconda per 1,7 miliardi a fine mese.

I titoli “dollar-linked” vengono emessi in pesos, ma verranno rimborsati alla scadenza al tasso di cambio contro il dollaro che vigerà quel giorno. E questo è un punto di forza per bond che rischiano altrimenti di essere decimati dalla svalutazione. Quest’anno, il cambio argentino ha perso il 25%, ma gli investitori temono che se non fosse per la banca centrale, i pesos collasserebbero ben molto più giù di quanto non siano già crollati. Sul mercato nero, ieri un dollaro veniva scambiato mediamente contro 165 pesos, quando il tasso ufficiale è di 78,70. Negli ultimi decenni, mai il gap tra il mercato nero e quello formale era stato così elevato, un segno di svalutazione imminente.

Bond Argentina ristrutturati e subito affondati, nessuno si fida più di Buenos Aires

Il debito argento resta uno spauracchio sui mercati

Essa servirebbe a ridurre gli squilibri macroeconomici, con le riserve valutarie nette scese a soli 4 miliardi e l’inflazione che a fine anno chiuderebbe al 40%, in rialzo dal 36,60% di settembre. Il governo nega di avere in mente una svalutazione del peso, ma la realtà la imporrà nei fatti. E tenere in portafoglio titoli di stato emessi in valuta locale sarebbe un suicidio per un investitore straniero, così come per uno domestico.

Quest’ultimo subirebbe gli effetti nefasti che l’operazione avrebbe sull’inflazione, perdendo gran parte del capitale investito.

I bond “dollar-linked” consentono al mercato di proteggersi da tutti questi rischi. L’obbligazionista otterrà alla scadenza un capitale integro rispetto all’investimento iniziale, in quanto ancorato al dollaro. In cambio, dovrà accontentarsi di tassi d’interesse molto bassi. L’ultima emissione di ottobre di un bond a 18 anni offre una cedola annuale dello 0,10%. Probabile che il Tesoro emetta simili titoli anche a novembre, anche perché non sembra avere alternative. Per quanto per esso siano più costosi, nessuno vuole comprare titoli in pesos senza paracadute, sia esso il tasso di cambio o l’aggancio all’inflazione.

L’amministrazione di Alberto Fernandez non sembra intenzionata a varare riforme economiche di risanamento fiscale e di stimolo alla crescita nel medio-lungo termine. Complice la pandemia, il PIL quest’anno crollerà del 12% e di introdurre misure impopolari all’impatto non ce n’è sentore. Per questo, la ristrutturazione appena conclusa rischia di rivelarsi semi-inutile, non risolvendo alla radice i problemi strutturali dell’economia argentina.

Nell’Argentina del “corralito” si comprano azioni e bond per sfuggire ai pesos

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