In agosto, l’Argentina raggiunse un accordo per la ristrutturazione di 65 miliardi di dollari di bond emessi in valute forti (dollari ed euro) e sotto la legge americana. In conseguenza di ciò, vennero emessi 12 nuovi titoli di stato a inizio settembre. Il loro debutto sul mercato secondario è stato a dir poco imbarazzante per il governo di Alberto Fernandez. Tanto per fare un esempio, il decennale con scadenza 2030 quota in questi giorni a circa 40 centesimi, avendo esordito sopra 50 centesimi. E altre obbligazioni per 20 miliardi di dollari in scadenza nel 2035 sono arrivati a sprofondare fino a un minimo di 35 centesimi.

Nuovi bond Argentina KO sul mercato: gli investitori scontano un altro default

A memoria degli analisti e degli investitori istituzionali, non vi è mai stata una ristrutturazione sovrana seguita da un andamento così negativo sui mercati. Di certo, non nell’ultimo ventennio. Con l’accordo, il governo di Buenos Aires ha ottenuto l’abbattimento medio dal 7% al 3% delle cedole e un sollievo di circa 38 miliardi di dollari entro il prossimo decennio. Di fatto, da qui a 3 anni non ci saranno pagamenti di rilievo. A proposito, per quell’1% di bond non ristrutturati e appartenenti perlopiù agli investitori retail europei, domani saranno corrisposte le cedole, ha annunciato l’esecutivo.

Da un default all’altro

Tornando alla ristrutturazione, i rendimenti che stanno esitando i bond di nuova emissione si aggirano almeno al 15% e segnalano apertamente che il mercato si attenderebbe un ennesimo default. Cosa non sta funzionando? Per prima cosa, Buenos Aires ha rinegoziato il debito estero, lasciando tutto il resto così com’è. Non sono state create le condizioni per impedire una prossima crisi fiscale. Nel frattempo, anche complice l’emergenza Covid, il pil per il 2020 è atteso in crollo del 12%, rimbalzando del 5,5% nel 2021. Le riserve valutarie nette della banca centrale risultano scese ad appena 5 miliardi di dollari, tant’è che sono state potenziate le restrizioni ai movimenti dei capitali.

Probabile, infine, una nuova crisi valutaria, data la crescente divaricazione tra tasso di cambio ufficiale e il cosiddetto “dolar blue” al mercato nero, indicatore della fuga dei capitali.

E si consideri che la ristrutturazione di per sé non è finita. Nel 2018, il Fondo Monetario Internazionale stanziò a favore dell’Argentina 57 miliardi, la somma più alta di sempre mai deliberata dall’ente in un’unica soluzione a uno stato. Di questi, solo 44 miliardi furono effettivamente erogati e trattasi di una cifra oggetto di rinegoziazione riguardo i termini. L’istituto di Washington difficilmente accetterà di ridiscuterne le condizioni, in assenza di un piano di riforme che il governo dovrebbe presentare per rassicurare sulla futura sostenibilità del debito.

Bond Argentina, ristrutturazione quasi conclusa e il mercato resta scettico

Guardando alla storia post-peronista, possiamo scommettere che anche stavolta un accordo si trovi e nel caso in cui così fosse, il mercato prenderebbe spunto per tornare probabilmente agli acquisti dei Tango-bond. In altre parole, i nuovi titoli argentini offrono appeal speculativo, ma tutta roba dalla quale il singolo investitore dovrebbe guardarsi bene dall’inserire in portafoglio, a meno che non metta in conto di poterla finanche perdere per la gran parte del suo valore nominale e per numerosi anni.

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