Quando si investe in obbligazioni, si commette spesso un errore di valutazione, allorquando si ritiene che si possano dormire sonni tranquilli fino alla scadenza dei titoli e che, quindi, non si corrano rischi. Anzitutto, dovremmo sempre stare attenti a come si evolvano i rating dei bond in portafoglio, cercando di anticipare eventuali condizioni di default, le quali minaccerebbero il valore del capitale investito. Questo sembra scontato, mentre molto meno ci si concentra sul cosiddetto rischio di reinvestimento. Di cosa parliamo? Immaginiamo di avere inserito in portafoglio tre titoli: uno con scadenza a 5 anni, un altro a 10 anni e un altro ancora a 20 anni.

Supponiamo che il primo ci offra una cedola pari al 5%, il secondo al 7% e il terzo al 10%. Alla scadenza, non è detto che riusciamo a rimpiazzare tali bond con nuovi altrettanto generosi, nel caso in cui i tassi sul mercato siano nel frattempo scesi.

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Ecco, questo costituisce un rischio per quanti costruiscano un portafoglio finalizzato al percepimento di un flusso stabile di reddito nel tempo. E mai come ai giorni d’oggi si presenta così alto. Prendete il caso di chi in questi mesi si trovasse ad affrontare la scadenza di un Treasury a 30 anni, acquistato all’atto della sua emissione. Allora, offriva un rendimento dell’8,5%, oggi non va oltre il 3,5%. Su 100.000 dollari investiti, si ritroverebbe con un flusso atteso di cedole per il futuro di 3.500 dollari all’anno, anziché degli 8.500 goduti negli ultimi 30 anni. Una bella batosta!

Senza andare indietro nel tempo di così tanto, qualcosa di simile accade con il BTp a 10 anni: offriva il 4,5% nel 2009, adesso intorno al 2,7%. E un trentennale italiano stava a doppia cifra alla fine degli anni Ottanta, mentre oggi non va oltre il 3,5%. Reinvestire queste scadenze a parità di cedola appare una missione impossibile, spesso persino se ci spostassimo su assets molto più rischiosi, se si considera che mediamente oggi un’obbligazione corporate “junk” americana rende decisamente meno di una con rating “BBB” di 10 anni fa.

E non è nemmeno detto che bisogna attendere la scadenza di un titolo per trovarsi dinnanzi al fatto compiuto. Le obbligazioni “callable” presentano tale rischio con il calo dei tassi, in quanto le società emittenti troveranno conveniente rimborsarle anticipatamente, rifinanziandosi sul mercato a tassi più bassi, lasciando l’obbligazionista con il problema di cosa acquistare per mantenere costante il flusso cedolare.

Come contenere il rischio di reinvestimento

Contenere il rischio di investimento è, però, possibile. Una prima operazione consiste nell’acquistare bond a lunga scadenza, così da ridurre la frequenza con cui l’investitore dovrà confrontare le vecchie cedole con le nuove: una cosa sarebbe porsi il problema ogni 20 anni, un’altra ogni 5 anni. Attenzione, però, perché un portafoglio lungo espone al rischio tassi nel caso di disinvestimenti anticipati: se si ha bisogno di liquidità, si deve rivendere un bond e nel frattempo i tassi sono saliti, il valore di mercato del titolo risulterà sceso, e tanto più quanto più lunga ne sia la durata residua.

Una seconda operazione più prudente consisterebbe nel costruirsi un portafoglio con obbligazioni dalla durata progressiva, così da contemperare il rischio tassi con quello di reinvestimento. In pratica, se i tassi salgono ho la possibilità di reinvestire le scadenze in cedole più alte, se scendono potrò almeno rivendere il bond in anticipo a prezzi superiori (tassi e prezzi si muovono in direzione opposta) e monetizzare la differenza. Infine, i bond zero coupon o senza cedola: non presentano formalmente alcun rischio di reinvestimento, non avendo cedole con cui confrontare le scadenze con i nuovi investimenti. Anche in questo caso, serve prudenza: gli zero coupon espongono ad alti rischi di volatilità dei prezzi, non avendo tassi cedolari che frenino le fluttuazioni delle quotazioni.

E, in ogni caso, vengono emessi perlopiù a breve termine, visto che il mercato non si mostra disponibile a privarsi a lungo di liquidità senza ottenere redditi garantiti fino alla scadenza. E accorciare troppo il portafoglio accresce il rischio di reinvestimento, per quanto sopra spiegato.

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