Il Libano è formalmente in default da questo mese di marzo e poiché le disgrazie raramente vengono da sole, subito dopo avere saltato la prima scadenza nella sua storia indipendente, il governo di Beirut ha dovuto proclamare lo stato di emergenza con la chiusura di porti, aeroporti, attività commerciali e scuole, invitando la popolazione a stare a casa e ad uscire solo in casi di “necessità estrema”, al fine di contrastare il diffondersi del Coronavirus. La pandemia non fa che aggravare la crisi economica e finanziaria che si respira da mesi e che ha costretto prima alle dimissioni l’allora premier Saad al-Hariri e poche settimane fa a dichiarare default il successore Hassan Diab.

Libano in default, colloqui con obbligazionisti tra due settimane

Il paese dei cedri risulta oberato da un debito pubblico intorno al 160% del pil, di cui una quota significativa (31,3 miliardi di dollari) è stata contratta in valuta straniera (Eurobond) e che è diventata impossibile da onorare con il prosciugamento progressivo delle riserve valutarie della Banca del Libano. Secondo Morgan Stanley, le trattative con i creditori non dureranno meno di due anni, perché la matassa da sbrogliare non sembra semplice. Gran parte delle emissioni si trova in mano alle banche domestiche, su cui non è possibile far ricadere il forte peso della ristrutturazione, altrimenti esse avrebbero bisogno di ricapitalizzarsi e lo stato dovrebbe mettere nuovamente mano al portafoglio per evitarne il collasso.

Né sembra applicabile il modello Cipro, quello che nel 2012 portò l’isola a coinvolgere i risparmiatori nelle perdite con l’applicazione del primo “bail-in” in Europa. I depositi presso le banche libanesi risultano in buona parte di provenienza estera, siriana in testa. Colpirli equivarrebbe a far perdere definitivamente appeal e fiducia verso il paese all’infuori dei confini nazionali. Infine, non sembra nemmeno facile giungere a un accordo con il Fondo Monetario Internazionale, date le resistenze degli Hezbollah ad accettare politiche di austerità fiscale.

Gli scenari simulati da Morgan Stanley sono tre e prevedono rispettivamente il taglio del valore nominale dei bond per il 50%, 60% e 70%. La banca americana assegna all’ultimo e il più duro il 60% di probabilità di concretizzarsi.

Tempi lunghi per un accordo?

Del resto, l’analista ritiene che il Libano abbia bisogno di un sollievo del 100-125% del suo pil e questo significa per l’appunto che gli obbligazionisti dovranno subire elevate perdite. Malgrado ciò, i prezzi delle obbligazioni in dollari sembrano essere scesi a livelli appetibili. La prossima scadenza riguarda il bond 14 aprile e cedola 5,80% (ISIN: XS1052421150) ieri quotava a poco più di 17,50 centesimi, mentre il bond marzo 2037 e cedola 7,25% (ISIN: XS1586230309) si aggirava a meno di 15,50 centesimi. Ancora peggio il titolo novembre 2027 e cedola 6,75% (ISIN: XS0859366899), che non arrivava nemmeno a 12.

Acquistando questi bond, si metterebbe in conto un “haircut” anche superiore al 70%. In effetti, se anche fosse dell’80%, il rimborso della scadenza 2027 avverrebbe a un valore pari ai due terzi più alto del prezzo di acquisto. Il problema, semmai, sarebbe di capire se le scadenze verrebbero mantenute o allungate, almeno per quelle da qui ai prossimi anni. In quel caso, il rendimento annuale dell’investimento diminuirebbe. E, in ogni caso, servirà pazienza. I due anni di cui parla Morgan Stanley appaiono pochi, se si considera che l’Argentina dopo il default di fine 2001 impiegò fino a 9 anni per chiudere definitivamente l’accordo con i creditori, mentre gliene servirono quasi 15 per porre fine agli strascichi giudiziari con i fondi “avvoltoio”, quelli che non accettarono i termini della ristrutturazione.

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