L’inflazione a novembre nell’Eurozona si è attestata all’1%, in rialzo dallo 0,7% di ottobre. Un piccolo segnale verso la direzione auspicata dalla BCE, ma a un livello ancora sostanzialmente dimezzato rispetto al suo obiettivo. Questo potrebbe essere meglio definito sotto la presidenza di Christine Lagarde, così da segnalare al mercato minori ambiguità sul suo raggiungimento. E l’istituto si mostra sempre più disponibile a tollerare una crescita tendenziale dei prezzi superiore al 2% per un certo periodo, così da compensare gli anni (ben sei e mezzo) trascorsi sotto il target.

Tuttavia, a guardare i titoli di stato tedeschi non si scorge alcun surriscaldamento delle aspettative, quelle che andrebbero stimolate per indirizzare il mercato proprio verso l’obiettivo, ad oggi “di poco inferiore, ma vicino al 2%”. Anche la Germania ha in circolazione bond con cedole legate all’inflazione e il cui differenziale di rendimento con i Bund ordinari (“breakeven”) ci indica l’inflazione attesa dagli investitori. Si chiamo BUNDei, dove l’aggiunta “ei” sta per “inflazione dell’Eurozona”, al netto della componente tabacchi.

BTp 2030 indicizzato all’inflazione euro, ecco le ragioni del successo del collocamento

I BUNDei con scadenza aprile 2023 e cedola 0,10% (ISIN: DE0001030542) rendono oggi il -1,30% e si confrontano con i titoli ordinari con cedola fissa, che offrono sulla medesima scadenza il -0,61%. La differenza sotto 0,70% sarebbe l’inflazione media annua attesa dal mercato da qui alla primavera del 2023, una frazione del target BCE. Spostandoci sulla scadenza aprile 2030, troviamo il BUNDei con cedola 0,50% (ISIN: DE0001030559) e rendimento -1,13%, quando il Bund di simile durata offre il -0,30%. Dunque, l’inflazione che il mercato si attende da qui ai prossimi 10 anni e passa sarebbe di appena sopra lo 0,80%.

BUNDei sottovalutati con la bassa inflazione?

Infine, BUNDei aprile 2046 e cedola 0,10% (ISIN: DE0001030575). Il rendimento si attesta in area -1% e si confronta con circa il -0,15% del Bund ordinario, ragione per cui nemmeno in una prospettiva ultra-ventennale ci si attenderebbe un’inflazione almeno all’1% nell’Eurozona.

Da segnalare che quest’anno solo il BUNDei 2030 ha corso più dell’omologo con cedola fissa (+3,3% contro +1,9%), mentre il BUNDei 2023 ha registrato la stessa crescita (+0,8%) dell’altro e il BUNDei 2046 è rimasto indietro (+11% contro +14%). Ma si consideri che, possedendo cedole nettamente inferiori, questi titoli necessitano di minori rialzi per scendere di rendimento della stessa entità.

In definitiva, l’inflazione nell’Eurozona è attesa anche dal mercato sovrano tedesco ben più “fredda” di quanto non si ponga la BCE come obiettivo, e persino per il lungo periodo. Due le cose: o la BCE davvero non riesca più a centrare il target, se non sporadicamente, o gli investitori starebbero sottovalutando la dinamica futura dei prezzi. Se la seconda ipotesi si rivelasse vera, man mano che l’inflazione tornasse ad affacciarsi, il mercato si butterebbe sui BUNDei per tutelarsi dalla perdita di potere di acquisto, ma questo implicherebbe un aumento delle loro quotazioni e un contestuale calo dei rendimenti. Viceversa, i Bund verrebbero venduti e i loro prezzi diminuirebbero.

La sottovalutazione probabile dell’inflazione futura, quindi, creerebbe occasioni di acquisto per i BUNDei, con grossi margini di guadagno realizzabili negli anni futuri, quando verosimilmente il passaggio dai rendimenti negativi a una graduale risalita in territorio positivo provocherà un bagno di sangue tra gli obbligazionisti.

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