Ieri, il Tesoro ha collocato via sindacato bancario il nuovo BTp indicizzato all’inflazione dell’Area Euro, scadenza 15 maggio 2030 e cedola minima garantita dello 0,40% per un importo di 4 miliardi di euro. Altissima la domanda, con ordini complessivi per 22 miliardi, circa 5 volte e mezzo l’offerta, di cui i due terzi provenienti dall’estero e la metà da Francia, Benelux e Nord Europa. L’ultimo BTp-i era stato emesso nel marzo 2017, ma allora il mercato aveva reagito freddamente, con richieste per 6,4 miliardi.

Il prezzo di assegnazione di ieri è stato di 99,632, per un rendimento lordo esitato dello 0,436%. L’operazione è stata guidata da cinque banche: Banca IMI, BNP Paribas, JP Morgan, NatWest e Société Générale.

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In teoria, questo sarebbe stato il momento meno opportuno per emettere uno strumento del genere, data la bassa inflazione nell’Eurozona. Anzi, la crescita dei prezzi tende a decelerare, allontanandosi dal target della BCE, tanto che quest’ultima è stata costretta di recente a intervenire con il varo di nuovi stimolare monetari per rianimarla. E allora, perché acquistare debito indicizzato all’inflazione, quando questa appare un rischio piuttosto debole in questi anni e in quelli futuri?

Il mercato è alla ricerca di qualsiasi obbligazione che possa offrire un rendimento minimo accettabile, dove per “accettabile” s’intende ormai ciò che fino a qualche anno fa sarebbe sembrato un’indecenza. I rendimenti sono negativi per gran parte dei titoli di stato e fino alle scadenze medio-lunghe. Figuriamoci se sia possibile trovare rendimenti positivi che riescano a coprire dall’inflazione attuale e quella attesa a medio termine, quando persino il bond austriaco a 100 anni offre meno dell’1%.

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Al momento, un decennale tedesco rende il -0,55/-0,60%, cioè se la BCE riuscisse a centrare prima o poi il target d’inflazione “vicino, ma di poco inferiore al 2%”, il Bund infliggerebbe all’investitore perdite reali annue nell’ordine del 2,5%.

A fronte di ciò, lo 0,80% offerto dal BTp con cedola fissa di pari durata sembra oro colato, anche perché risulta il secondo più alto nell’Eurozona dopo la Grecia. Il BTp-i 2030, quindi, offre solamente circa 40 centesimi di punto in meno dell’omologo a tasso fisso, per cui la scommessa per gli investitori appare potenzialmente vincente. Se l’inflazione media nel prossimo decennio fosse intorno allo 0,50% o più, il BTp-i si sarebbe rivelato più conveniente dello stesso BTp.

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Ma anche se l’inflazione dovesse attestarsi sui livelli azzerati, il bond indicizzato appena collocato sul mercato farebbe la sua figura, perché continuerebbe ad offrire lo 0,40% all’anno, un rendimento ormai divenuto da sogno persino nella periferia dell’area. In altre parole, il BTp-i 2030 si mostra in partenza relativamente generoso, quale che sia lo scenario futuro. Certo, le cose cambierebbero per i futuri acquirenti con il rialzo dell’inflazione, per il semplice fatto che l’alta domanda sul mercato ne farebbe salire i prezzi e diminuire il rendimento, fino al punto di trovare un equilibrio con il BTp con cedola fissa.

Restando al debutto di ieri, chi lo ha comprato si è messo in cassaforte una cedola più che dignitosa, indipendentemente dall’andamento dell’inflazione nei prossimi anni. Se, poi, questa dovesse materializzarsi, ancora meglio, perché a quel punto la scelta si sarà rivelata opportuna rispetto a un investimento in titoli con cedole fisse, il cui valore reale chiaramente si ridurrebbe.

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