ENI ha emesso con successo ieri due obbligazioni perpetue “ibride” e subordinate per un controvalore complessivo di 3 miliardi. Altissima la domanda, con ordini per 14 miliardi, arrivati principalmente da Regno Unito, Italia, Francia e Germania. E’ stata la più grande emissione di bond ibridi per il corporate italiano sino ad oggi. Il primo titolo da 1,5 miliardi prevede un periodo “non-call” di 5 anni e 3 mesi, cioè fino alla prima data di reset del 13 gennaio 2026. La cedola fino ad allora sarà pari al 2,625% fisso annuale.

Il prezzo di re-offer è stato del 99,403%.

Se tra 5 anni e 3 mesi ENI non eserciterà la call, l’obbligazione frutterà interessi annui pari al tasso Euro Mid Swap a 5 anni, incrementato di 316,7 punti base, cioè lo stesso spread di ieri tra il rendimento esitato e il tasso di riferimento a 5 anni. A partire dal 13 gennaio 2031, la cedola sarà ulteriormente incrementata di 25 punti base e dal 13 gennaio 2046 di altri 75 punti base.

La seconda obbligazione da 1,5 miliardi è anch’essa perpetua, ibrida e subordinata con periodo “non-call” di 9 anni. E’ stata emessa con prezzo di re-offer del 100% e cedola 3,375% fino al 13 ottobre 2029. Da questa data, nel caso di mancato esercizio della call, ENI dovrà corrispondere agli obbligazionisti una cedola annuale pari al tasso Euro Mid Swap a 9 anni, incrementato di 364,1 punti base fino alla successiva data di reset del 13 ottobre 2034. A partire da quest’ultima, il margine sarà incrementato di ulteriori 25 punti base fino al 13 ottobre 2049, quando salirebbe ancora di 75 punti base.

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I rischi delle due obbligazioni

Soddisfatto l’amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi, secondo cui il mercato ha confermato la fiducia nella solidità finanziaria della compagnia, riconoscendone gli sforzi relativi alla transizione energetica. E sottolinea come la componente equity dell’emissione rafforzi il profilo di credito del Cane a sei zampe.

In quanto ibride, i proventi delle due obbligazioni saranno utilizzate per abbattere le emissioni inquinanti, ma a differenza di un vero green bond non esiste alcun vincolo stringente a tale riguardo.

Per il resto, siamo dinnanzi a titoli relativamente rischiosi, tant’è che il collocamento è stato rivolto agli investitori istituzionali. Essendo subordinati, il capitale verrebbe restituito successivamente alla soddisfazione degli altri crediti senior per il caso di insolvenza. E le date call implicano il rischio di un rimborso anticipato. Se questo avvenisse, l’obbligazionista perderebbe l’opportunità di continuare a godere delle cedole generose. A tale riguardo, considerate che ENI avrà convenienza a rimborsare i bond, qualora alle date di reset si ritrovasse a sostenere sul mercato costi di indebitamento inferiori rispetto a quelli che dovrebbe accollarsi attraverso le cedole a tasso variabile.

Dunque, l’evoluzione dei tassi di mercato determinerà nei fatti la vera scadenza dei due titoli. Se saliranno e gli spread pretesi dagli investitori per prestare denaro ad ENI resteranno almeno invariati, probabile che l’emittente punti alle successive date di reset per procedere al rimborso. Se scenderanno e a parità di spread, approfitterebbe dei minori costi per ridurre gli interessi passivi a suo carico. Da non escludere, infine, problemi di liquidità in fase di negoziazione sul mercato secondario.

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