Nel primo trimestre di quest’anno, gli investitori giapponesi hanno acquistato bond europei e del resto del mondo per 10.800 miliardi di yen, circa 75 miliardi di euro. Nell’intero 2022, invece, li avevano venduti per 23.000 miliardi di yen, contribuendo al tracollo dei prezzi e al boom dei rendimenti. C’era molta attesa per l’avvicendamento alla guida della Banca del Giappone nell’aprile scorso. Haruhiko Kuroda ha completato il secondo mandato ed esce di scena dopo dieci anni. Al suo posto è stato nominato governatore Kazuo Ueda, poco noto all’infuori degli ambienti accademici.

Ci si aspettava un cambio di passo nella politica monetaria, cosa che ad oggi non è avvenuta affatto.

Tassi restano negativi in Giappone

Mentre l’inflazione nipponica ad aprile è risalita al 3,5% e il dato “core” è al 3,4%, la Banca del Giappone mantiene i tassi negativi a -0,10%. E’ rimasto l’unico caso al mondo. Nel dicembre scorso, Kuroda aveva raddoppiato il rendimento massimo tollerato per il bond a 10 anni allo 0,50%. A tratti, prima che Ueda s’insediasse il mercato aveva spinto il rendimento decennale anche oltre tale soglia. La previsione era che il nuovo governatore alzasse i tassi d’interesse o perlomeno consentisse ai rendimenti sovrani di salire ulteriormente lungo la curva. Era considerata una minaccia per i bond europei, ma non si è materializzata in alcun modo.

Anzi, nelle scorse ore il bond del Giappone a 10 anni è sceso al rendimento minimo da un mese a questa parte, sotto lo 0,38%. E lo yen, che contro il dollaro a gennaio si era rafforzato ad un cambio sotto 128, ormai si aggira intorno a 141,50. Perde oltre il 6% da quando Ueda ha assunto le redini della politica monetaria. Sono tutti segnali positivi per i bond europei. Significano che la stretta sui tassi in Giappone non c’è e forse non ci sarà. Su Tokyo la pressione dovrebbe ridursi nei prossimi mesi, visto che le altre principali banche centrali stanno tutte per concludere gli aumenti dei tassi.

Bond europei in rialzo, possibile domanda dal Giappone

Nel caso in cui anche la Banca del Giappone varasse la stretta, i rendimenti domestici salirebbero e attirerebbero capitali dal resto del mondo. Migliaia di miliardi di yen rimpatrierebbero a discapito degli asset finanziari all’estero, tra cui proprio i bond europei. Di fatto, ciò si tradurrebbe in un ulteriore aumento dei rendimenti nell’Area Euro per effetto della minore domanda globale. Una prospettiva che aveva messo in allarme la Banca Centrale Europea nei mesi scorsi. Invece, sta accadendo ad oggi il contrario. I flussi dei capitali nipponici sembrano avere ripreso vigore sui principali mercati stranieri, ormai persuasi che non ci sarà alcuna stretta imminente in patria.

Non è forse casuale che nelle ultime settimane gli spread stiano scendendo e i rendimenti dei bond europei nel loro complesso si riducano. Probabile che gli acquisti stiano arrivando proprio dal Giappone, dove i rendimenti reali restano negativi lungo la curva, pur su livelli mediamente più alti di quelli in vigore nell’Area Euro. Ma resta il fatto che bisogna acquistare bond a 40 anni per ottenere un misero 1,35%. All’estero gli investitori giapponesi hanno la possibilità di percepire di più e in valute verosimilmente destinate ad apprezzarsi contro lo yen nel breve e medio termine, causa divergenza sui tassi.

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