Non c’è stata alcuna sorpresa. Ieri, la Banca Centrale Europea (BCE) ha annunciato un nuovo aumento dei tassi d’interesse dello 0,25%. La decisione era stata ampiamente prevista nelle settimane scorse sui mercati finanziari. Il quarto board dell’anno è stato anche l’occasione per rendere note le nuove proiezioni macro-economiche per l’Area Euro. Rispetto a quelle di marzo, registriamo un lieve peggioramento per le prospettive dell’economia e un aumento dell’inflazione attesa per il triennio in corso. Rivisto al rialzo anche il dato “core”, al netto di energia e generi alimentari.

Dal 20 giugno, i tassi sui depositi bancari salgono al 3,50%, i tassi di riferimento al 4% e i tassi sui prestiti marginali al 4,25%. Già con il comunicato delle 14.15, Francoforte faceva intendere che i tassi BCE aumenteranno con ogni probabilità anche a luglio. Il governatore Christine Lagarde lo ha confermato alla conferenza stampa delle 14.45. Ha detto che la stretta monetaria non sarebbe conclusa, che resta lavoro da fare. In particolare, tre saranno i punti-chiave per le decisioni del mese prossimo: i nuovi dati economici e sull’inflazione nell’Area Euro, ad oggi “troppo alta e per un periodo troppo prolungato”; l’intensità della trasmissione della politica monetaria; l’andamento dell’inflazione di fondo.

L’aumento dei tassi BCE non ha smosso granché i mercati finanziari. Le borse sono rimaste in calo grosso modo della stessa entità pre-comunicato. E il famoso spread è prima salito a ridosso dei 170 punti base per ripiegare successivamente in area 165. Un lieve incremento di scarso impatto per i titoli di stato italiani. Il rendimento a 10 anni è sceso nuovamente sotto il 4,10% dopo essere salito sopra il 4,20%.

Aumento tassi BCE a luglio sarebbe l’ultimo

Come mai questa reazione “fredda”? Il fatto è che la stessa BCE non ha potuto negare che siamo sostanzialmente a fine corsa. La sensazione è che a luglio ci sarà un ultimo aumento dei tassi BCE.

Nel comunicato si legge che i prestiti nell’unione monetaria siano in scesi “bruscamente” e che la frenata della domanda dovrebbe contribuire a ridurre l’inflazione nei prossimi mesi. In altre parole, la politica monetaria sta già avendo i suoi effetti, pur in ritardo per via della sua natura di trasmissione a distanza di tempo dal momento in cui sono prese le decisioni.

Il cambio euro-dollaro, comunque, è risalito fino a ridosso di 1,09, segno che nel complesso questa settimana per i mercati si chiude aspettandosi una riduzione della divergenza monetaria tra Federal Reserve e BCE. Mercoledì, la prima aveva lasciato i tassi invariati negli Stati Uniti, ma avvertendo che ve ne saranno di altri già dal board di luglio. In teoria, una svolta “hawkish” che avrebbe dovuto deprimere il cambio euro-dollaro e infliggere perdite allo stesso mercato dei bond nell’Area Euro. Evidentemente, gli investitori non credono del tutto ai governatori. Ritengono che l’economia americana si avvii verso la recessione e che il taglio dei tassi da qui alla fine dell’anno ci sarà. Così come stanno già scontando la fine della stretta della BCE, checché ne dica Lagarde.

I toni non possono che restare improntati alla durezza da parte dei banchieri centrali. Solo se il mercato si convince che la lotta all’inflazione proseguirà, anche al costo di una recessione guidata, le aspettative si “raffredderanno”. Serve, quindi, prospettare un aumento ulteriore dei tassi BCE, così che lavoratori, imprese, consumatori e investitori si comportino di conseguenza. Ma da quando l’Eurostat ha sancito ufficialmente l’ingresso dell’Area Euro nella recessione, rendimenti sovrani e spread sono scesi, a testimonianza che ormai si ritiene la restrizione monetaria quasi terminata.

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