L’economia americana è caduta formalmente in quella che gli analisti definiscono recessione tecnica. Il PIL USA è sceso, infatti, per due trimestri consecutivi su base congiunturale. Il mercato obbligazionario conferma da diverse settimane l’arrivo di una crisi mondiale. E i segnali che lancia in tal senso sono diventati molteplici. Ignorarli sarebbe un male per i nostri investimenti, come hanno già preso atto in questa fase quanti non abbiano approfittato del rally dei bond da metà giugno.

Mercato obbligazionario in ripresa

Proprio il rialzo dei prezzi e il contestuale calo dei rendimenti rappresentano il primo segnale di crisi.

Il mercato obbligazionario beneficia degli acquisti nelle fasi avverse per l’economia globale. E così, il Treasury a 10 anni è passato dal rendere quasi il 3,50% a metà giugno al 2,60% di ieri. Il mondo si rifugia nel “safe asset” per eccellenza, evidentemente fiutando notizie negative. Nella prima metà dell’anno, si era registrato il peggiore “sell-off” da almeno mezzo secolo a questa parte.

Ma nel frattempo, la curva dei rendimenti si è invertita. Il Treasury a 2 anni offre ora +0,30% sul Treasury a 10 anni. In genere, tale fenomeno anticipa l’arrivo della recessione per l’economia americana.

Gli stessi titoli “spazzatura” negli USA, cioè “non investment grade”, hanno ripreso fiato. A fine giugno, toccavano il rendimento massimo medio dell’8,88%. A fine luglio, chiudevano al 7,56%. -1,32% in appena un mese. Nel frattempo, gli spread con il segmento AAA del mercato obbligazionario, teoricamente il più sicuro, è sceso di 100 punti base o 1% a 408. Eppure, il restringimento degli spread tende a verificarsi quando le condizioni dell’economia americana migliorano. Come si spiega l’apparente paradosso?

Ci aiutano forse a capirlo altri dati, stavolta arrivati dal mercato dei derivati. Esso si attende che i tassi d’interesse culminino a fine anno al 3,50% e che da qui ad un anno ci saranno due tagli dei tassi dello 0,25% ciascuno.

Secondo i contratti futures eurodollaro, a fine 2023 i tassi d’interesse negli USA scenderanno sotto il 3%.

Rischio stagflazione in agguato

Fino a qualche settimana fa, il mercato si aspettava tassi FED fin sopra il 4% prima di essere tagliati nel corso del 2023. E’ evidente che le aspettative si siano “raffreddate” un po’ per via della recessione economica in corso. Resta il fatto che le aspettative d’inflazione, pur in calo dall’apice toccato nel marzo scorso, stiano risalendo. Il “breakeven” a 5 anni, differenza tra rendimento del Treasury con cedola fissa e TIPS quinquennali, è ora al 2,72% dal 2,48% a cui era sceso meno di un mese fa. Questo recupero segnala il rischio che l’economia americana e, per estensione, mondiale cada in stagflazione, cioè un mix di bassa crescita e alta inflazione.

Proprio l’atteso minore rialzo dei tassi starebbe sostenendo il comparto “junk”. Più che preoccupato dello stato di salute dell’economia americana, il mercato obbligazionario sarebbe timoroso dell’impatto che avrebbe una stretta monetaria rigida sui conti di numerose aziende finanziariamente traballanti.

In conclusione, gli investitori scontano la crisi e per questo si aspettano che la Federal Reserve cessi la stretta prima del previsto. Ma al contempo non si mostrano convinti che sarà in grado di piegare l’inflazione ai livelli pre-pandemici.

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