Mercoledì scorso, la Federal Reserve alzava i tassi d’interesse di un altro 0,75% al 2,50%. Il governatore Jerome Powell allontanava lo spettro della recessione per l’economia americana per concentrarsi sulla battaglia contro l’inflazione, salita al 9,1% a giugno. Il giorno seguente, i dati sul PIL USA confermano: è recessione tecnica! Calo trimestre su trimestre dello 0,9% dopo il -1,6% accusato nel primo trimestre. Formalmente, quando l’economia si contrae congiunturalmente per due trimestri consecutivi, è recessione. Una bella botta per gli americani, pur non del tutto inattesa.

I segnali di rallentamento vi erano già da mesi, ma forse nessuno si aspettava tra gli analisti che si sarebbe verificata una recessione della prima economia mondiale a distanza di appena due anni dalla precedente provocata dalla pandemia.

Cosa dicono i dati? I consumi privati, che incidono per quasi il 70% del PIL USA, sono diminuiti dell’1% nel secondo trimestre dell’anno. Gli investimenti nel comparto immobiliare hanno segnato un pesante -14%. Nel frattempo, sono venuti meno anche gli stimoli fiscali legati alla pandemia, cioè si è ridotta la spesa pubblica. I redditi reali sono diminuiti di circa mezzo punto percentuale a causa dell’inflazione. Ed ecco che si è giunti alla recessione.

Cosa significa per l’economia mondiale? In primis, che la Federal Reserve non sarà verosimilmente capace di portare a compimento la stretta monetaria contro l’inflazione. Scordatevi tassi USA al 4% o più. Sarà un successo se arriveranno al 3,50%. Gli stessi investitori adesso intravedono il 3,50% entro l’anno, quando fino a pochi giorni prima supponevano il 3,75%. E già dalla prossima primavera ripartirebbe la stagione dei tagli.

L’impatto della recessione sull’Area Euro

Il cambio euro-dollaro da un po’ di sedute è tornato a respirare, pur restando nei paraggi vicino alla parità. In effetti, la BCE dovrebbe aumentare i tassi dello 0,50% anche a settembre, data l’accelerazione dell’inflazione all’8,9% a luglio nell’Eurozona.

Ma siamo così sicuri che la stretta nel Vecchio Continente procederà spedita? Anche la Germania sarebbe sull’orlo della recessione, mentre lo spettro della crisi energetica in autunno “surriscalda” da un lato le aspettative d’inflazione, ma dall’altro fa temere il peggio per l’economia nell’area.

Per essere chiari, le banche centrali tenteranno ancora in estate di reagire all’inflazione alle stelle alzando i tassi. Dopodiché prospetteranno una pausa per verificare le condizioni dell’economia. Una mano di aiuto – sperano – gliela daranno le materie prime, i cui prezzi si “sgonfieranno” proprio per effetto delle avvisaglie di crisi. Negli USA, le aspettative d’inflazione misurate dallo spread tra Treasury e TIPS a 5 anni stanno assestandosi da settimane sotto il 2,70%. Restano superiori al target FED del 2%, ma in forte calo dal 3,60% sfiorato a maggio.

Attenzione al mercato immobiliare. Il mix tra esplosione dei prezzi e rialzo dei tassi dei mutui sta rendendo sempre meno facile per le famiglie acquistare casa. Ciò rischia di provocare l’implosione. E gli USA, memori del disastro mondiale provocato nel 2008 proprio dal crac dei mutui subprime, vorranno evitare che ciò si ripeta. Dunque, freno alla corsa dei prezzi sì, ma tassi elevati rischiano di azzerare la domanda e allo stesso tempo di contrarre gli investimenti al punto da impattare negativamente persino sull’offerta. La stretta monetaria globale, iniziata da poco, sembra già quasi segnata.

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