La banca centrale turca non ha alzato i tassi a gennaio, ma si è detta pronta a farlo nel caso servisse e ha chiarito che inizierà a tagliarli più tardi di quanto previsto in precedenza. In sostanza, per gran parte di quest’anno rimarranno almeno ai livelli attuali. Del resto, a dicembre l’inflazione ha giocato un brutto scherzo, salendo al 14,6%, nettamente sopra le previsioni dello stesso istituto e di gran parte degli analisti. Probabile, però, che abbia raggiunto il picco, grazie al recente apprezzamento della lira turca, che dai minimi storici contro il dollaro si è rafforzato di oltre il 13%.

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La Turchia non ha alzato i tassi ieri, ma il governatore ha convinto i mercati

I rendimenti dei bond sovrani, invece, non stanno ancora ripiegando. Il decennale offre il 13,22%, ai massimi da inizio novembre, così come il biennale si attesta al 14,80%, anche in questo caso ai livelli più alti da quasi tre mesi. La curva è profondamente invertita, segno che il mercato stia scontando la forte stretta monetaria di questi mesi e che intraveda una riduzione del tasso d’inflazione nel lungo periodo.

Tuttavia, non siamo ancora a quella fase in cui possiamo affermare che il punto più basso per i bond turchi sia stato raggiunto. E’ verosimile che lo sia, ma molto dipenderà nelle prossime settimane dal comportamento del presidente Erdogan, che dopo un paio di mesi di sostegno alla strategia sui tassi del nuovo governatore Naci Agbal, è tornato a dirsi contrario alla stretta, sostenendo che l’inflazione la si combatterebbe abbassando i tassi.

Il lento ritorno dei capitali stranieri

Sta di fatto che dal minimo toccato a novembre del 3,3%, la percentuale dei titoli turchi posseduti dagli investitori stranieri risulta risalita al 4,4%. Resta molto bassa, specie se confrontata con quella di altre economie emergenti, tra cui la Russia (24%), il Sudafrica (30%) e il Messico (48%).

La stessa Turchia vantava ancora un buon 20% nel settembre del 2018, nel bel mezzo della tempesta finanziaria che aveva fatto collassare il cambio. Ma almeno il trend sembra invertitosi a favore di Ankara.

Gli afflussi dei capitali esteri farebbero bene alla lira turca, che nell’ultimo decennio ha perso l’80%. E a sua volta, un cambio atteso in rafforzamento attirerebbe gli investitori sulla prospettiva di guadagni sui titoli in valuta locale. Ma avvertiamo che, allo stato attuale, non esisterebbero le condizioni per ipotizzare un imminente cambio di marcia per la lira sui mercati valutari. La bilancia commerciale resta cronicamente passiva, così come il saldo corrente. E fino a quando non vedremo il segno più, significa che l’economia turca non sia competitiva e non attragga sufficienti capitali per compensare i disavanzi commerciali, per cui la lira continuerebbe a indebolirsi.

Come capire la direzione per i bond? Se nei primissimi mesi del nuovo anno, l’inflazione dovesse decelerare la corsa e la banca centrale terrà i tassi d’interesse fermi, in termini reali questi salirebbero e i mercati si convincerebbero che vi sia finalmente del potenziale per tornare a investire sull’obbligazionario anatolico, anche perché già oggi offre rendimenti nettamente superiori a quelli vigenti presso quasi tutti i mercati emergenti principali. A quel punto, l’istituto potrebbe iniziare ad allentare la politica monetaria senza impattare negativamente sul cambio e, anzi, favorendo la ripresa delle quotazioni dei bond.

La Turchia colloca altri titoli in dollari a 5 e 10 anni, a premio rispetto ai bond in circolazione

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