Non accenna a diminuire la pressione sui titoli di stato italiani, malgrado anch’essi stiano beneficiando della ripresa dei prezzi nelle ultime settimane. I rendimenti a 10 anni sono scesi al 3,35% da oltre il 4,20% a cui si erano portati a giugno. Lo spread viaggia ancora sopra i 200 punti base o 2%. Questo pomeriggio, si attestava in prossimità dei 210 punti. Sui mercati c’è attesa per le decisioni della BCE al board del 21 luglio. Scontato il rialzo dei tassi di almeno lo 0,25%. Restano da vedere i dettagli tecnici sul cosiddetto “scudo anti-spread”, che Francoforte ha annunciato al board d’emergenza del 15 giugno.

Dalle dichiarazioni di vari esponenti del Nord Europa, non dovrebbe trattarsi di alcun piano risolutivo degli attacchi speculativi contro i BTp. Il governatore della Bundesbank, Joachim Nagel, ha presentato una lista di condizioni alle quali soltanto egli darà il suo sostegno al nuovo strumento.

Nessuna fretta a frenare lo spread

Dopo il prossimo board, lo spread BTp-Bund rischia di allargarsi nuovamente. Contrariamente alle prime attese, la BCE non varerà un vero piano automatico, illimitato e incondizionato per tenere a bada i rendimenti sovrani nel Sud Europa. L’annuncio del mese scorso è stato un contentino dato ai mercati per placarne le vendite dei bond italiani, spagnoli, greci e portoghesi. Un modo per guadagnare tempo e non mettere a repentaglio l’avvio della stretta monetaria.

La BCE non vuole privarsi di un’arma di pressione politica sull’Italia per ottenere il risanamento fiscale tanto agognato e il varo delle riforme economiche a favore della crescita. Ne è conferma l’appello lanciato qualche giorno fa dal commissario agli Affari monetari, Paolo Gentiloni, che ha invitato il nostro Paese a non fare ancora più deficit. Se la BCE intervenisse già a fermare la corsa dei rendimenti italiani, la politica a Roma non avrebbe alcuna fretta di tagliare il deficit e proseguire sul cammino delle riforme, specie a pochi mesi dalle prossime elezioni.

Serve che l’Italia provi dolore fino al punto di farsi male, ma senza danneggiare irreparabilmente il resto dell’Eurozona. La BCE sarà tollerante sull’ulteriore risalita dello spread. Giustificherà verosimilmente questo suo atteggiamento contraddittorio rispetto all’impegno promesso di ridurre la frammentazione monetaria, sostenendo che tali differenziali di rendimento siano giustificati sulla base dei fondamentali macro. In soldoni, il debito pubblico italiano è molto più alto di quello tedesco ed è corretto che offra il 2-2,50% in più dei Bund.

Italia capro espiatorio della crisi

Sfruttando la pressione, le istituzioni europee punteranno ad incassare dal governo Draghi una legge di Stabilità all’insegna della prudenza fiscale. Dopodiché giustificherebbero l’attivazione dello scudo anti-spread a favore dei BTp con la necessità di mettere in sicurezza l’Eurozona. L’area è avviata verso la recessione, principalmente a causa degli effetti negativi della guerra sui prezzi di gas e petrolio. Ma i governi non vogliono correre il rischio di essere additati dai rispettivi cittadini quali responsabili della crisi a causa del sostegno all’Ucraina contro la Russia. Così come la BCE vuole far dimenticare di avere ignorato per troppo tempo l’inflazione galoppante.

Ecco, quindi, che serve un capro espiatorio a cui addossare le cause della prossima crisi. E l’Italia è perfetta per questo ruolo. Instabile, erratica, inaffidabile, percepita malamente dalle opinioni pubbliche nel resto d’Europa. La BCE frenerà lo spread solo quando la crisi sarà divampata e diventata evidente agli occhi dei cittadini europei. Potrà dire di aver salvato il debito pubblico italiano per proteggere l’euro, ma nel frattempo i governi avranno buon gioco ad additarci quali origine delle disgrazie dell’economia. La solita Italia, insomma.

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