Si mostra molto soddisfatto l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, dopo l’emissione del “covered bond” a 10 anni di ieri. E non potrebbe essere altrimenti. Può vantare di essere a capo della prima banca italiana ad essere riuscita a indebitarsi a tassi negativi. Il bond è stato collocato sul mercato, infatti, a un rendimento lordo del -0,077%, solamente 13 punti base sopra il tasso “midswap”, il più stretto su una simile scadenza per un istituto tricolore. Secondo il manager, il mercato avrebbe espresso “apprezzamento per la solidità patrimoniale e le prospettive di crescita in attuazione del nostro piano al 2023”.

Dei 750 milioni di euro offerti, la metà è andata agli investitori istituzionali, i cui ordini hanno ammontato a 1,5 miliardi. Non sfuggirà ai più il concetto di rendimento negativo: chi presta denaro paga il debitore, anziché il contrario. In parole ancora più esplicative, il prezzo a cui si acquista il bond risulta superiore a quello di rimborso per una percentuale superiore alle cedole che verranno incassate dal momento dell’investimento fino alla scadenza.

Com’è stato possibile per Mediobanca raccogliere capitali a rendimenti sottozero? La risposta richiede un ragionamento articolato. In questa fase, sui mercati esistono obbligazioni nel mondo per quasi 18.000 miliardi di dollari di valore con rendimenti negativi. Questo è dovuto al fatto che le banche centrali hanno iniettato migliaia e migliaia di miliardi di liquidità per contrastare gli effetti della pandemia, quando già da anni i tassi d’interesse risultavano quasi ovunque azzerati tra le economie avanzate e bond sovrani e corporate venivano acquistati per sostenere i prezzi al consumo.

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Rendimenti negativi per le obbligazioni garantite

Avendo inondato i mercati con ulteriore liquidità, i prezzi degli assets finanziari sono esplosi a tal punto da mandare in territorio negativo i rendimenti sovrani lungo gran parte delle scadenze e persino quelli corporate, pur in misura minore ai primi.

Peraltro, nel caso specifico parliamo di un “covered bond”, cioè di un’obbligazione garantita dagli assets dell’emittente. Ecco come funziona: formalmente, viene accantonata una quota di patrimonio dal valore almeno pari a quello del debito emesso e da questi garantito, così che gli obbligazionisti incorrano nel minimo rischio possibile. Persino nel caso di fallimento della banca, infatti, il bond verrebbe rimborsato. E, chiaramente, il titolo non rientra tra gli assets che partecipano alle perdite nel caso di “bail-in”.

I rating di Mediobanca non sono in sé elevati: BBB per S&P, BBB- per Fitch e Baa1 per Moody’s. Essi risentono inevitabilmente del rischio Paese, cioè del fatto che l’istituto abbia sede in Italia, la cui solidità fiscale da anni è fortemente messa in dubbio sui mercati finanziari. Ma con la fame di “yield” che è divampata tra gli investitori negli ultimi mesi e il grado di elevata sicurezza che offrono questi titoli garantiti, lo spread richiesto è stato molto basso. Del resto, con grado di rischio simile, l’alternativa sarebbe investire sullo stesso mercato italiano in BTp con rendimenti anche dello 0,60% in questi giorni, ma esponendosi all’alta volatilità tipica dei titoli di stato tricolori, vittime spesso delle vicissitudini politiche romane. Se si volesse puntare su un “safe asset” come il Bund, invece, bisognerebbe accettare una perdita annuale dello 0,55%, il 5,5% cumulato in 10 anni. Pertanto, il “covered bond” di Mediobanca è risultato sufficientemente appetibile da essere comprato con rendimenti negativi.

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