“Nessuno ci ha mai spiegato perché saremmo stati in default quando le aste dei titoli di stato, anche con spread che veleggiava sui 600 punti, andavano a ruba, cioè non restavano deserte. Sarà pur vero che, aumentando lo spread, tendenzialmente aumentano i tassi di interesse (non subito tra l’altro) ed il costo della provvista del denaro per investimenti e/o per mutui aumenta ….è altrettanto vero che per i risparmiatori, un tasso di interesse a x anni, poniamo 10 anni, in aumento, possa essere giudicato interessante e “sicuro sui titoli di stato”. Visto che i tassi di interesse per chi vuole fare fruttare un tantino i risparmi sono, al momento, un tantino bassi. Ci vederai una dicotomia”.

Rispondiamo a un nostro gentile lettore su un tema in sé abbastanza complesso e dibattuto in questi anni, ad avviso di chi scrive per molti versi ancora ostaggio di valutazioni politicizzate, se non ideologiche. Lei avrebbe ragione: nemmeno quando lo spread viaggiò sui suoi massimi in era euro, vale a dire tra l’autunno del 2011 e l’estate del 2012, l’Italia rischiò seriamente il default. Quando i rendimenti esplodono, il Tesoro paga di più per emettere nuovo debito pubblico, ma è anche vero che i circa 2.300 miliardi e rotti dello stock non vengono rifinanziati tutti in un giorno e nemmeno in un mese, né in un anno. Mediamente, ciò avviene nell’arco di circa 7 anni.

BTp a lunga scadenza possibili vincitori con il fiume di liquidità in arrivo sui mercati

Questo non significa che se un BTp a 10 anni rendesse il 10%, ad esempio, il governo potrebbe starsene tranquillo. Per prima cosa, perché sarebbe la spia di una mancanza di fiducia dei mercati finanziari verso la sostenibilità del debito e secondariamente perché, di questo passo, finirebbe per pagare troppi interessi, alimentando il debito stesso e finendo per perdere così l’accesso ai mercati per l’impossibilità di sostenerne il costo.

Lo spread in sé non è un indicatore dei costi assoluti, quanto della differenza tra i costi sostenuti dall’Italia e quelli della Germania per onorare i rispettivi debiti sovrani.

Ora, quando lo spread diventa troppo alto, non solo significa che l’Italia viene ritenuta sempre meno affidabile rispetto alla Germania, ma anche che tutta la sua economia, come ricaduta, pagherà tassi più alti per rifinanziare i propri debiti e per investire. Piano piano, infatti, i maggiori costi dei BTp si trasmetteranno anche ai prestiti privati, in quanto i titoli di stato rappresentano, come il lettore stesso ha colto, un’opportunità d’impiego dei risparmi. E perché dovrei portare i soldi in banca per un interesse dell’1%, se lo stato mi desse il 4% per un BTp a 2 anni? Per questo, i capitali si sposterebbero tutti verso i BTp, costringendo le banche ad alzare i propri tassi offerti, ma con ciò aumentando i costi a loro carico, nonché a carico delle imprese e delle famiglie a cui prestano denaro, rendendo il sistema Italia meno competitivo e il suo debito sovrano per ciò stesso meno sostenibile.

Alti rendimenti opportunità per risparmiatori italiani?

Vero è che se i rendimenti sovrani si mostrassero troppo alti, con il tempo attirerebbero domanda sempre maggiore e si ridurrebbero in un secondo tempo. Un po’ avviene anche in questa fase, con i capitali nel resto del mondo a cercare bond redditizi nel mare dei rendimenti negativi e azzerati di oggi. Tuttavia, solo in parte affluiscono in Italia, come dimostra la permanenza dello spread in area 240 punti base per la scadenza a 10 anni, circa 3-4 volte i livelli di Spagna e Portogallo. Come mai? I rating dei BTp restano bassi e rischiano ulteriori declassamenti. E molti investitori istituzionali non possono detenere assets di così bassa qualità.

Per questo, chi compra titoli italiani continua a richiedere un premio per il rischio superiore a quello richiesto agli altri bond dell’area.

Il lettore avanza la tesi di risparmiatori italiani capaci di azzerare lo spread, tornando a investire in BTp. Ciò, purtroppo, non sarebbe del tutto veritiero. A differenza degli anni Ottanta e Novanta, quando il mercato dei capitali era relativamente chiuso e poco mobile, adesso così non è. Ognuno può investire, salvo rarissime eccezioni, ovunque desideri e ciò crea concorrenza quasi perfetta tra i titoli finanziari (e non) nel pianeta. I soli risparmiatori italiani, poi, difficilmente oggi sarebbero in grado di segnare il destino dei BTp, poiché a battere tempi e prezzi sui mercati sono i grossi flussi dei capitali, vale a dire fondi d’investimento, banche e assicurazioni.

Infine, gli stessi risparmiatori italiani dimostrano da anni di non fidarsi del loro governo (nel senso lato), se è vero che parcheggiano in banca circa un terzo della loro ricchezza finanziaria, malgrado la remunerazione nulla ottenuta su di essa. Semplice ignoranza finanziaria? Non proprio. Il fatto è che un popolo che si tiene liquido e rinuncia a investire in un asset apparentemente sicuro e redditizio significa che ha paura del futuro. E questo chiude il cerchio sul perché possano convivere alti rendimenti ed elevati risparmi interni.

Il debito pubblico italiano aggrava le disuguaglianze tra famiglie

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